giovedì 23 febbraio 2023
Su 2.200 imprese, che registrano 161mila occupati e 45 miliardi di fatturato, 500 sono fortemente a rischio. Tra le proposte di Federmanager, l’istituzione di un fondo per la conversione del settore
Il ministro Urso al convegno di Federmanager sull'automotive

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«Siamo convinti che bisogna raggiungere i duplici obiettivi della transizione digitale ed ecologica, ma bisogna affrontare la tematica con sano pragmatismo e non con ideologia preconcetta». Così il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso al convegno di Federmanager sull'automotive. «Per la transizione digitale ed economica servono materie prime - spiega Urso -. Non possiamo passare dalla subordinazione e sudditanza dalla Russia per l'energia a quella della Cina per le materie prime e le tecnologie: passeremmo dalla padella alla brace. E per evitarlo dobbiamo costruire autonomia strategica. Noi intendiamo avere un rapporto forte, significativo affinché la Commissione Europea capisca che deve coniugare le esigenze della transizione ecologica - che tutti condividiamo - alle modalità e alle tempistiche con cui davvero le imprese e il sistema sociale italiano ed europeo davvero possano riconvertirsi e diventare competitivi anche nella nuova era». Secondo lo studio Federmanager-Aiee presentato oggi a Roma, una virata troppo spinta verso l’auto elettrica non sarebbe assorbita dalla nostra filiera dell’automotive, che è caratterizzata principalmente da aziende di piccole dimensioni e poco managerializzate: solo il 39% delle imprese del settore è dotato di management in grado di gestire la transizione. Il rapporto nota anche che il ricorso ai manager esterni alla proprietà è comune nel 78% dei casi se si tratta di gruppi esteri operanti in Italia, mentre scende al 30% nel caso di gruppo italiano, dove predomina il modello misto di gestione, e si polverizza al 6% nel caso di imprese a conduzione familiare. «Esprimiamo una visione critica rispetto alle decisioni dell'Unione Europea sugli obiettivi di transizione energetica relativi al settore dell’automotive». Questa la posizione di Federmanager per voce del presidente nazionale Stefano Cuzzilla, che lancia un monito: «Gli effetti sull’industria italiana saranno pesanti, serve un piano di attacco basato sulla considerazione che l’elettrico, per fortuna, non è l’unica via a una mobilità sostenibile. Facciamo affidamento sul governo italiano per avere un quadro di regole certe, ispirato dai principi di neutralità tecnologica e gradualità della transizione, a conferma della sostenibilità dei futuri investimenti nel settore». Il comparto della componentistica, che è il cuore dell’auto italiana, è quello più esposto anche in ragione della dimensione aziendale: su 2.200 imprese, che registrano 161mila occupati e 45 miliardi di fatturato, 500 sono fortemente a rischio. L’auto elettrica, infatti, comporta un minor livello di investimenti, stimato dal rapporto in un -25% in dieci anni dovuto al minor numero di componenti richieste, circa un sesto di quelle utilizzati dall’auto tradizionale (200 contro 1.200), e alla durata di vita più lunga dei macchinari di produzione dell’elettrico. Tra le proposte di Federmanager, l’istituzione di un fondo per la conversione del settore. Questa misura deve essere finalizzata innanzitutto all’aggiornamento professionale, sulla scia di quanto realizzato con il Fondo Nuove Competenze, anche attingendo alle risorse del Pnrr-Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il ministro Urso - parlando del ddl delega che sarà portato oggi in Consiglio dei ministri - sottolinea che sono quasi 2mila gli incentivi alle imprese previsti dalla normativa vigente, in parte nazionali e in parte regionali, «difficilmente compatibili». L'obiettivo del governo è «razionalizzare, omogeneizzare e renderli duratori nel tempo». «Gli incentivi nel settore dell'automotive sono stati utilizzati appieno per alcune tecnologie e sono rimasti inutilizzati per le macchine elettriche, nel senso che la gran parte degli incentivi per le macchine elettriche non sono stati giudicati tali, comunque significativi, o comunque adatti, perché la macchina elettrica in Italia costa ancora troppo e se la possono permettere in pochi», dice il ministro, che evidenzia anche come non aiuti il fatto che ancora sia carente la rete di colonnine e punti di ricarica: «Siamo sempre a 36mila punti di ricarica rispetto ai 90mila di un Paese come l'Olanda che non ha la stessa dimensione geografica dell'Italia: è più piccola e più concentrata». Su questo fronte «dobbiamo fare di più perché il consumatore sia incentivato davvero a usare l'auto elettrica».

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