martedì 4 dicembre 2018
L'automazione mette a rischio l'assetto tradizionale dell'occupazione ma apre anche nuovi orizzonti di libertà dalla fatica
Il lavoro sporco delle macchine
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Ai due estremi gli apocalittici e i tecno-ottimisti. Da un lato, chi vede cioè nell’avvento della robotica sui luoghi di lavoro un rischio per l’occupazione; dall’altro i super ottimisti delle possibilità che la robotica può portare in ufficio in termini di efficienza. Non è poi così lontano il futuro in cui accadrà di dividere la scrivania con un collega robot – ultima in ordine di tempo l’introduzione del primo giornalista televisivo sviluppato con intelligenza artificiale in Cina – visto che l’Ocse stima nei prossimi 10 anni cambieranno circa il 40% dei lavori attualmente conosciuti. Una rivoluzione 4.0, insomma, a cui le aziende non sempre sono preparate. La domanda da porsi a questo punto è: può un robot sostituirsi all’uomo sul lavoro? No, secondo 9 aziende su 10, pur avendo un impatto migliorativo del lavoro. Gli ultimi dati pubblicati dall’associazione italiana direzione del personale (Aidp)-Lablaw, curati da Doxa, confermano anche che il 61% è pronto ad introdurre sistemi di intelligenza artificiale e robot nelle proprie organizzazioni e appena l’11% si dichiara totalmente contrario.

Nella pratica, stando stavolta ad un’indagine di Var Group uno dei player più importanti sul mercato italiano dell’innovazione, solo l’8,4% delle imprese utilizza almeno una delle tecnologie tipiche dell’industria 4.0, a cui si aggiunge un ulteriore 4,7% che ha in programma investimenti in questa direzione nel prossimo triennio. Più avanti le grandi imprese, ma le Pmi si stanno mettendo al passo.Non fanno eccezione le cooperative, impegnate non solo nel non restare indietro, ma pure nel capire le conseguenze che questa rivoluzione avrà sul capitale umano. La logica su cui ci si sta muovendo è fare in modo che dal progresso tecnologico consegua progresso sociale. E soprattutto non diminuisca l’occupazione. Basta pensare all’esperienza di Cmb, un’azienda di costruzioni, in cui l’innovazione ha portato «a far crescere il numero di tecnici specializzati dal 40 al 50% – spiega il responsabile del sistema di gestione integrato Francesco Lei – con un cambiamento del sistema produttivo», che porta ad avere «meno realizzazioni in opera, dove si fa semplicemente montaggio». Tra le novità anche il Bim, una banca dati comune tra gli attori della costruzione in cui è inserito l’intero progetto, che farà nascere «nuove figure professionali come il Bim manager». Anche perché come conseguenza della quarta rivoluzione industriale «non si sa quanti posti di lavoro verranno a mancare, ma si sa che tutti i posti di lavoro cambieranno». A confermarlo è l’inventore del neologismo Industria 4.0, Wolfang Schroeder, per cui la parola chiave per gestire il cambiamento «è la necessità di un ampio sistema di formazione continua». Anche perché non crede ci sarà un’emorragia di lavoratori disoccupati con l’avvento della robotica, visto che «i settori a maggiore impiego di robot saranno quelli con minore disoccupazione». La sfida da cogliere, secondo lui, perciò, è «investire in questi settori non solo sulle tecnologie, ma sulle persone, sulla loro capacità di acquisire competenze per poter collaborare con le tecnologie». Come è stato fatto in Formula servizi, l’azienda nata a Forlì nel 1975 che si è andata specializzando nella logistica sanitaria. A loro si deve infatti l’introduzione in alcuni ospedali e asl della Romagna di consegna e ritiro del materiale sanitario da remoto che, dice il presidente Graziano Rinaldini, «ha ridotto le spese del 58%, prodotto risparmi per 2 milioni all’anno e diminuito quasi a zero gli errori con gli ordini che nel nostro magazzino di Cesena vengono evasi in un giorno».

E gli addetti che si occupavano di quel servizio? La parola d’ordine in azienda «è riqualificazione», e lo si è fatto anche nel trasporto dei farmaci robotizzato negli ospedali di Forlì dove 9 robot si occupano della consegna ai piani. «Gli operai che avevano quel compito – precisa Rinaldini – ora in 7 sono impiegati nella centrale di controllo e altri 7 sono stati dirottati ad altre mansioni». Come pure fa capo a Formula servizi l’esperienza del tablet inserito in un carrello delle pulizie direttamente collegato alla direzione di una casa di cura, che in tempo reale consente di sapere se quella stanza è pronta per l’ingresso dei nuovi pazienti. Hanno scelto invece il modello del «pensare collettivo» in Cooplat, «rendendo più partecipi i lavoratori nel processo di cambiamento». L’azienda che da 70 anni si occupa di servizi, ha infatti coinvolto i suoi 3mila addetti in un questionario per «capire gli umori e raccogliere proposte», dice il presidente Fabrizio Frizzi, definendo questo «sistema di ascolto» che serve a fare «formazione mirata sui giovani manager e non solo, visto che il cambiamento va padroneggiato».

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