lunedì 11 luglio 2022
Riflessioni semiserie in mezzo al traffico bloccato, pensando all'energia che servirà per muoversi e che ancora non c'è
Quell'incubo elettrico in coda: ma come faremo domani?
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Durante un recente fine settimana sono andato per lavoro a Gabicce Mare: so che non ci crederete, ma è così. Ora, non sto a tediarvi sulle code chilometriche sopportate, sia all’andata sia al ritorno, non ostante le partenze intelligenti che ancora mi ostino a fare: come è ormai noto, le partenze intelligenti non esistono. Certo, macinare oltre centoventi chilometri da San Lazzaro di Savena al casello di Cattolica a passo d’uomo non è il massimo dei desideri, in particolare in giorno dopo al ritorno (partenza alle 9.30 del mattino di domenica: più intelligente di così?): stessa musica, con in più due uscite a Rimini sud e a Faenza, causa incidenti di poco conto, per fortuna, ma capaci in una situazione del genere di bloccare la circolazione.

Per vedere il bicchiere mezzo pieno e non rovinarmi le due giornate, ho pensato al nostro turismo che riprende, anche di provenienza straniera come documentavano le molte targhe d’oltralpe: si, insomma, il nostro 13% di PIL che, dopo aver boccheggiato per due anni, torna a respirare. Devo dire che questi bei pensieri non hanno fatto molto effetto per lenire lo sconforto derivante dall’andatura a elastico. E forse, visti i 36 gradi all’ombra, se possibile, si sono fatti ancora più cupi, pensando al numero di vetture che il nastro d’asfalto era in grado di contenere in una situazione così. Anche voi, con me, fatevi due conti: a spanne, un po’ rozzi, ma tanto per avere un’idea. Provate a moltiplicare cento chilometri (non eravamo proprio in coda sempre sempre) per tre corsie, per una ventina di macchine ogni cento metri (sono di più certamente, ma fa niente). Fatto? Ecco, adesso fatevi venire i brividi: significa che all’istante zero, come dicono quelli che hanno studiato, in quella gabbia c’erano decine e decine di migliaia di veicoli contemporaneamente. E quindi, direte voi?

Fate un altro piccolo sforzo e immaginate che una scena simile si ripeta fra qualche anno, diciamo dieci, quando si stima che almeno un 30% dei veicoli saranno elettrici. Quante colonnine si dovranno mettere a disposizione in ogni area di servizio negli week end tra giugno e settembre sulle principali direttrici delle vacanze (Adriatica, Milano Genova e diramazioni Levante e Ponente, Auto Sole, Salerno Reggio, Auto Brennero, Serenissima e Venezia Trieste e tutte le altre)? Le due o tre striminzite da 20 kilowatt che spesso non funzionano? Macché: almeno un centinaio per area, e tutte fast, se non vogliamo che questi luoghi si trasformino in bivacchi e accampamenti fuori controllo, dove scoppierebbe, con il caldo, anche il colera. A parte il costo e il tempo di impianto, l’energia necessaria da mettere a disposizione delle calate digli unni, da dove la prendiamo? Centrali a carbone? Non se ne parla; a gas? Facciamo finta di non aver capito. Nucleare: mi ripete la domanda? Rinnovabili? Sarebbe bello, ma dovremmo tappezzare le campagne nei dintorni delle stazioni di servizio di pannelli fotovoltaici, evitando se possibile i forconi dei contadini.

Ma facciamo finta, per un attimo, che la fata Turchina, in qualche modo, ci regali l’energia necessaria. Anche pensando a ricariche fast, le code di decine di miglia di macchine come saranno gestite? Macché code, diranno gli esperti più acuti: per quel tempo, fra dieci anni, tutte le nostre autostrade (siamo però almeno prudenti: una corsia per senso di marcia) saranno dotate di ricariche a induzione dinamica, con piastre e cavi annegati nell’asfalto. Costi? E che sarà mai: vuoi che ci spaventino 1,2 milioni di euro al chilometro? Io non mi spavento, ma fatevi due conti, pensando solo alla rete autostradale e non alle superstrade e simili.
Ma dai, non fate gli arcaici che usano ancora sistemi primordiali come i motori endotermici: non c’è energia per le auto elettriche e con i motori a scoppio si va all’inferno? In vacanza si vai con i mezzi pubblici! Quali? Autobus (no, meglio di no), aerei (neanche quelli, per carità). Il treno! Certo, la cara vecchia strada ferrata, che adesso con l’alta velocità che arriva dappertutto (proprio dappertutto, no: sa vai a Rimini e parti da Milano, ancora ancora, ma da Legnano a Gabicce devi calcolare almeno due trasbordi: e che sarà mai?). Cioè, la famiglia italiana con bambini che vanno al mare (se arrivano da Amburgo, peggio mi sento), completi di ochette salvagente, materassini e palloni da spiaggia, vanno in treno? Gli occhi mi si riempiono di suggestioni cinematografiche neorealiste.

Ma basta! Volete o non volete salvare il pianeta? State a casa. E il 13% di PIL, che fine fa? Ma devo anche spiegarvelo? Non serve: è la decrescita felice, bellezza! Quelli che abitano, fortunati loro, vicino al mare o dalle parti delle mete montane, a posto. Per gli altri, ottime biciclettate in campagna, se proprio volete con pedalata assistita, a fare merenda sull’erba, sotto l’ombra di un platano, ammesso di trovarlo. Ero quasi convinto. Ma la barriera di Melegnano, dopo tanto almanaccare, mi riconduceva alla realtà. Barriera incredibilmente non funestata dai tradizionali muri di macchine. Se non c’è qualche altra coda o qualche tamponamento, pensavo, finalmente in una mezz’ora sono a casa e almeno un divano mi aspetta. Ma prima, una bella doccia. Tanto, si sa, che con quella passa tutto.


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