lunedì 23 ottobre 2023
Da Pechino limiti all’export su un componente chiave delle batterie «Una ritorsione per i microchip». Gli Usa: «Diversificare le catene di forniture» L’Ue, in ritardo, pensa ad accumulare scorte
La polvere di grafite è utilizzata per la produzione di batterie per i veicoli elettrici

La polvere di grafite è utilizzata per la produzione di batterie per i veicoli elettrici - Reuters

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Quanto siamo disposti, come consumatori, a pagare per un’auto elettrica? Qualunque sia quella cifra, dal primo dicembre in avanti è molto probabile che saremo costretti a ritoccarla al rialzo. “Colpa” di un minerale molto ambito sui mercati internazionali, la grafite, materia prima fondamentale per le batterie dei veicoli elettrici su cui la Cina, principale produttore con il 90% del totale, ha deciso ora di imporre limiti stringenti all’export. Una mossa maturata a pochi giorni dall'ulteriore stretta Usa alla vendita nei confronti di Pechino di microchip ad alta tecnologia e a un mese circa dall'annuncio della Commissione Ue di un'indagine sull'import dei veicoli elettrici cinesi per far luce sui possibili sussidi statali alla produzione che alterano la concorrenza.

Il governo cinese parla solo di una decisione legata alla “sicurezza nazionale”, ma per gli analisti Pechino sa bene che, colpendo sulle materie prime, “qualche” risultato le sue decisioni lo avranno, peraltro in un ambito sensibile come quello legato a doppio filo alla transizione ecologica. Come minimo, i tagli all’export finiranno con il far impennare i prezzi della grafite, allo stesso modo di quanto era accaduto, lo scorso agosto, con gallio e germanio, due metalli essenziali nelle produzioni tecnologiche. A cascata, il mercato dei veicoli elettrici (ma anche quello degli smartphone e di altri prodotti) non potrà che subire contraccolpi a livello globale. E se c’è chi spera negli sviluppi della grafite sintetica, soprattutto per gli investimenti negli Stati Uniti più che in Europa, anche in quel campo, secondo diversi analisti, la Cina è avanti anni rispetto agli altri Paesi, grazie a centinaia di milioni di dollari spesi in ricerca da giganti come Btr e Shanshan. Secondo stime di Benchmark mineral intelligence, la grafite sintetica potrebbe essere utilizzata entro il 2025 per i due terzi delle batterie elettriche prodotte. Svilupparla, però, è estremamente costoso. «Come consumatori siamo disposti a pagare di più per avere materiali sostenibili nelle nostre batterie?», si chiede Hans Erik Vatne, ceo di Vianode, una startup basata ad Oslo che punta a produrre abbastanza grafite sintetica per 2 milioni di batterie elettriche entro il 2030.

I limiti all’export cinese potrebbero anche stimolare la ricerca verso materiali alternativi. La startup americana Gdi, ad esempio, sta sviluppando batterie che possano utilizzare anodi al 100% in silicio al posto della grafite, un materiale in grado anche di far coprire ad un veicolo elettrico distanze maggiori. Al momento, la massima percentuale di silicio utilizzata nelle batterie è del 10%, perché questo materiale si espande durante l’uso rischiando di danneggiare la batteria stessa. È una tecnologia su cui, però, si punta molto in ottica futura. La grafite, molto utilizzata nell’industria dell’acciaio, è destinata comunque a rimanere almeno a medio termine al centro della produzione di veicoli elettrici, le cui vendite dovrebbero arrivare a 35 milioni di unità nel 2030 rispetto ai 10 milioni del 2022. Ogni veicolo elettrico necessita di 50-100 chili di grafite per le sue batterie, quantitativo doppio rispetto al litio. I produttori di auto per ora non hanno commentato i limiti all’export cinese, ma certo la situazione non deve essere tanto gradita all’industria. Per la Casa Bianca, «queste azioni sottolineano la necessità di diversificare le catene di approvvigionamento», soprattutto quelle «critiche», che devono essere «sicure, sostenibili e resilienti».

Un report del 2020 di Banca mondiale sottolineava che entro il 2050 la domanda di materie prime come cobalto, grafite, litio, nickel e bauxite, utilizzate tra l’altro per tecnologie come pannelli solari e turbine eoliche, è destinata a sestuplicare. Anche in Europa il tema è più che pressante. Lo scorso marzo la Commissione Europea ha proposto una nuova legislazione sulle materie prime critiche, secondo cui entro il 2030 si dovrebbe limitare al 65 per cento del consumo annuale dell’Ue la soglia massima di provenienza da un unico Paese terzo di ciascuna materia prima strategica.

Insomma, dalla Cina, ma anche da Paesi come la Turchia, l’Ue non dovrebbe acquistare più del 65% delle sue materie prime strategiche. Lo scorso anno un rapporto del Parlamento Europeo ha sottolineato la necessità di costituire «scorte di emergenza» di minerali critici a livello Ue e incoraggiato la Commissione a realizzare un meccanismo adatto a tale scopo. Una richiesta che era già stata avanzata oltre un decennio fa, quando peraltro i prezzi delle stesse materie prime sui mercati globali erano ben più bassi. Il tempo di agire, detto in altro modo, era già ieri.

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