venerdì 14 gennaio 2011
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Cancelli di Mirafiori, la storia del movimento sindacale passa ancora una volta da corso Tazzoli. D’accordo, quarant’anni fa qui incontravi Berlinguer e oggi Nichi Vendola. Allora, Pci e sindacato erano una cosa sola, mentre oggi il peggior nemico del Pd è la Fiom, al punto che il sindaco Chiamparino invoca da Bersani «parole più nette e certe a sostegno del sì» e Piero Fassino – candidato a succedergli – teorizza che una cosa sono i diritti e un’altra «le condizioni per garantire quei diritti». Insomma, anche oggi la storia operaia passa da corso Tazzoli ma va subito a casa, a testa bassa, e davanti alle telecamere prende addirittura la rincorsa, come si faceva nell’autunno caldo per sfondare i cordoni della polizia: era questo il clima tra gli operai ieri, fuori dalla porta 2, al termine delle assemblee organizzate dalla Fiom per sostenere le ragioni del «no all’accordo di Marchionne». Un analogo appuntamento in una parrocchia della zona, promosso da Fim, Uilm, Ugl e Fismic che sostengono l’accordo, è andato deserto. Il segretario fiommino Maurizio Landini non ha rinunciato allo sfottò – «le assemblee per spiegare l’accordo le facciamo noi che non lo vogliamo» – ma la Fismic parla di un «clima di intolleranza» e addita la presenza degli «sconfitti di Pomigliano in cerca di un’improbabile rinvincita». Pronostici impossibili. Il sociologo torinese Bruno Manghi scommette sul sì ma avverte che Mirafiori «può sorprendere» perché «l’età media degli operai è alta e sono abituati a pensare che la fabbrica non chiuderà mai, che li soccorrerà sempre la politica».Il voto è iniziato con il turno delle 22 e terminerà stasera, verdetto finale a notte fonda. Voteranno in 5.500, quel che resta della "grande" Mirafiori. Quale che sia l’esito, Landini ha confermato che la Fiom non firmerà l’accordo (neppure la firma tecnica) e «la vertenza andrà avanti». Il segretario torinese dei metalmeccanici della Cgil, Giorgio Airaudo gigioneggia: «Sappiamo che i capi reparto della Fiat cercano di convincere a votare sì, ma le nostre assemblee sono affollatissime e quando ho dato del vile a Berlusconi c’è stato un boato di applausi». Promette che dopo il referendum, «la Cgil resterà in fabbrica. Poiché l’accordo impedisce ogni azione sindacale a partire dal diritto di sciopero, saremo ogni giorno davanti ai cancelli».Aspettiamoci qualcosa di simile ai gazebo già installati dalla sinistra antagonista e dai Cobas: ascoltarne i comizi improvvisati, ieri, significava fare un salto indietro di decenni. Al 1968, ad esempio, di Alfonso Natella, il quale raccontava a tutti di quando bloccò la linea di montaggio di Mirafiori e lo volevano arrestare, «ma i compagni lo impedirono: per fortuna c’era ancora l’Unione sovietica». Oppure agli anni Settanta del trotzkista Marco Ferrando, espulso da Rifondazione per il caso Nassirya: oggi portavoce del partito comunista dei lavoratori fa sapere che «se la Fiat decidesse di andarsene dall’Italia scatterebbe l’occupazione delle sue fabbriche».Tanta pressione si traduce in indecisione. Egidio, quarant’anni, ci spiega che voterà «sì, ma è un ricatto bello e buono». Sì anche per Loredana, ma solo perché ha due figli e «che peso decidere per tutti i lavoratori, ma sarà poi vero che con questo contratto cambia il modo di lavorare in tutta Italia?». Pietro invece non ha dubbi, "no" stentoreo con nostalgia: «Mio nonno lavorava in Fiat, mio padre lavorava in Fiat, mia madre lavorava in Fiat. Hanno lottato per quei diritti».Quel che fa più paura alle tute blu sono i vincoli sull’orario, sui turni, sulle pause, sulle malattie, il "clima da azienda cinese" insomma. Anche se Damiano, 23 anni di Mirafiori, un po’ cinese si sente già adesso: per otto ore al giorno avvita cinture di sicurezza, «un minuto e mezzo l’una, 220 cinture al giorno, 620 bulloni». Sergio applica lo stesso numero di canaline; per ognuna deve sparare undici viti nello stesso minuto e mezzo. La matematica della catena di montaggio spiega meglio di qualsiasi analisi finanziaria perché i bisogni fisiologici di un operaio possano decidere il futuro dell’auto made in Italy.
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