sabato 31 ottobre 2015
Sono oltre 40mila gli iscritti all'Albo. Devono affrontare sia i cambiamenti nelle richieste di assistenza e protezione che provengono dai cittadini, sia i cambiamenti che si verificano nella regolamentazione, nell'organizzazione e nel finanziamento dei servizi.
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Gli assistenti sociali possono essere considerati la spina dorsale dei sistemi di welfare avanzati svolgendo un ruolo cruciale per interpretare e organizzare i servizi di welfare, nonostante una significativa ristrutturazione di tali sistemi - in Europa come in Italia - stia cambiando il contesto in cui essi esercitano la loro professione. L'area della tutela e protezione dei minori di età è considerata fortemente radicata nella professione a conferma di un'attribuzione di ruoli e compiti ben presenti nella società italiana. Pur svolgendo una professione con un forte mandato pubblico, essi rappresentano un gruppo con una posizione relativamente debole nell’apparato pubblico e con limitate possibilità di incidere sull’imposizione di nuove priorità e compiti di lavoro che limitano significativamente l’autonomia professionale.Questi alcuni dei risultati cui è giunta una ricerca sulla professione di assistente sociale presentata nella sala polifunzionale di Palazzo Chigi, a Roma, e che ha visto il coinvolgimento di oltre 2.700 professionisti sui 5.600 – in rappresentanza degli oltre 40mila complessivamente iscritti all’Albo - cui è stato somministrato un apposito questionario."Una ricerca – spiega Silvana Mordeglia, presidente del Consiglio nazionale degli assistenti sociali – che ha permesso di rilevare le opinioni degli assistenti sociali italiani in merito a una serie importante di questioni quali welfare, povertà, lavoro, e di rilevare, inoltre, il pensiero della professione in Italia in questa complessa fase socio-economica, fornendo chiavi di lettura e tendenze in atto. L’iniziativa nasce da una collaborazione tra l’Università di Lund (Svezia), l’Università di Helsinki (Finlandia), l’Università di Genova e il Consiglio nazionale e rappresenta l’estensione di uno studio svolto in Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia".Gli assistenti sociali devono affrontare sia i cambiamenti nelle richieste di assistenza e protezione sociale che provengono dai cittadini, sia i cambiamenti che si verificano nella regolamentazione, nell'organizzazione e nel finanziamento dei servizi. A loro è affidato il delicato compito di tradurre le politiche universali in pratica quotidiana e, quindi, svolgono un ruolo cruciale per interpretare e organizzare i servizi alle persone e alle comunità.La ricerca conferma come gli assistenti sociali stiano esercitando la loro professione in un contesto e in una rete di fornitori di servizi sociali sempre più complessi. Nonostante il loro ruolo di “attivatori di risorse di rete” gli atteggiamenti e le opinioni degli assistenti sociali - per quanto riguarda la regolamentazione e l'organizzazione del sistema - sono raramente presi in considerazione nella pianificazione e attuazione delle riforme. E, ancora. Secondo gli assistenti sociali coinvolti nella ricerca italiana, se la dimensione dell'autonomia professionale e della discrezionalità nell'organizzare l'agenda di lavoro pare preservata, lo stesso non si può dire per quanto concerne il riconoscimento dell'impegno profuso nel lavoro.La dimensione della solidarietà e del supporto reciproco pare mantenersi su livelli buoni e accettabili - dato l'ancoraggio valoriale e l'aspetto di realizzazione personale insito nella scelta della professione – la dimensione del riconoscimento e delle ricompense andrebbe considerato entro una visione strategica, sia per quanto riguarda un riconoscimento di efficacia esterno ed interno alla professione, sia per quanto concerne i processi organizzativi e di contesto entro cui la professione si muove. Si evidenzia come l'assenza di consapevolezza o la disattenzione all'interno delle organizzazioni  si traduce un una minore efficacia del loro lavoro quando essi incontrano i propri interlocutori.In tema di povertà non vi è omogeneità di visione tra gli assistenti sociali italiani. Vengono supportate principalmente le spiegazioni strutturali della povertà (le persone vivono in povertà perché la società le tratta ingiustamente) anche se questa non è una percezione nettamente dominante della povertà ed infatti non mancano quelli che ne sostengono le motivazioni individuali (la condizione di povertà è dovuta ai poveri stessi e alla loro pigrizia e mancanza di forza di volontà).La maggioranza degli assistenti sociali, a prescindere dalla macro-regione di appartenenza (Nord, Centro, Sud), sostengono che il livello di prestazioni è troppo basso. Meno supporto trovano le affermazioni sull’accesso alle prestazioni e sul fatto che le politiche sociali avvantaggiano le persone benestanti. Per quanto riguarda le differenze regionali, gli assistenti sociali del Nord sono meno inclini a sostenere spiegazioni strutturaliste della povertà rispetto agli assistenti sociali del Mezzogiorno mentre il  Centro si presenta un po’ come una via di mezzo. La ricerca sottolinea come il sistema di welfare italiano abbia subito importanti cambiamenti negli ultimi decenni con tagli alla spesa pubblica e una frammentazione del sistema di protezione sociale e con una moltiplicazione di attori non statali (sia profit che non-profit) che esercitano funzioni pubbliche, accompagnata da un forte decentramento di autorità a livello regionale e locale.Per quanto riguarda i servizi di assistenza sociale, l’Italia ha assistito a un forte aumento di organizzazioni di terzo settore, piuttosto che di imprese private. Mancanza di coordinamento e regolamentazione rendono difficile, per il sistema, soddisfare la domanda crescente di protezione e assistenza sociale.Sul servizio sociale italiano, infine, gli assistenti sociali del Mezzogiorno sostengono che esso sia caratterizzato da un’antiquata mentalità socio-assistenziale che nulla ha a che vedere con le moderne politiche sociali. Allo stesso modo sono d'accordo, in misura maggiore rispetto agli assistenti sociali del Nord e Centro, con l'affermazione che il servizio sociale sia caratterizzato da una scarsa collaborazione con le organizzazioni del terzo settore, e che il ruolo degli assistenti sociali è fortemente limitato da leggi e regolamenti, costringendoli a lavorare soprattutto come 'burocrati' operando all’interno di un modello di servizio sociale considerato 'rudimentale' e caratterizzato da una bassa spesa sociale.
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