martedì 5 aprile 2016
COMMENTA E CONDIVIDI
Lo scandalo dei Panama papers coinvolge anche il defunto colonnello Muammar Gheddafi, il redivivo Hosni Mubarak, i cugini del presidente siriano Bashar el-Assad, il sovrano del Marocco Mohammed VI. Personaggi diversi per formazione e traiettoria politica, travolti o sfiorati dalla Primavera araba, ma evidentemente accomunati dalla volontà di drenare sistematicamente dalle tasche dei propri concittadini-sudditi il maggiore quantitativo possibile di risorse. In primis, i Gheddafi. Ancora non si riesce a individuare – e recuperare – quello che viene chiamato il 'tesoro privato di Gheddafi': per conto dei governi libici di al-Zeitan e al-Thani, da quasi tre anni Erik Iskander Goaied, uomo d’affari tunisino-svedese, segue le tracce di questo patrimonio in tutta l’Africa. Ha individuato legami strettissimi fra Libia e Sud Africa (ammonterebbe a 180 miliardi di dollari il deposito di Gheddafi giacente a Johannesburg), ma è sicuro che in giro ci sia molto di più, non solo in Svizzera e a Malta. Ora i Panama papers potrebbero dargli soddisfazione. Quanto a Hosni Mubarak, è cosa nota che il clan passò gli ultimi 18 giorni di vita, cioè tutta la durata della rivoluzione (25 gennaio-11 febbraio 2011), a trasferire fondi all’estero. Nel gennaio di quest’anno, la Corte di cassazione del Cairo ha rigettato il ricorso della famiglia Mubarak contro una sentenza che li condanna a restituire allo Stato 2,5 milioni di euro, oltre a 16 milioni di “multa”. Quest’ultima è la pena inflitta a Hosni e figli, riconosciuti colpevoli di corruzione e malversazione di fondi pubblici. Ne hanno già pagati un centinaio in passato. Una cifra ridicola rispetto al patrimonio complessivo, stimato in 50-70 miliardi di dollari. Comunque, con il vento che tira in Egitto, i Mubarak potrebbero anche tornare in sella un domani e rifarsi con gli interessi di quanto sborsato. Intanto, il clan Assad non sfigura: solo un anno fa il fisco francese si accorse di un patrimonio personale di 100 milioni di euro riconducibile allo zio del presidente, Rifaad, golpista contro il fratello Hafez alla fine degli anni ’80. Rifaad Assad è sospettato dagli attivisti siriani di essere utilizzato dal regime di Damasco per portare fuori dal Paese ingenti somme di denaro. L’elegante 77enne si è difeso dicendo di essere arrivato in Europa “senza un soldo”: un profugo come tanti. Quello parigino è con tutta probabilità solo uno dei fondi del clan alauita nel mondo. Nei Panama files c’è anche il nome del devoto sovrano Mohammed VI, solo “accarezzato” dalla Primavera: nel 2012 Forbes stimava una fortuna personale di 2,5 miliardi di dollari. Vien da pensare che forse quelle rivolte popolari arabe qualche ragione ce l’avevano. © RIPRODUZIONE RISERVATA
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: