giovedì 8 maggio 2014
Il confronto con le linee guida europee. Troppe riforme sovrapposte, certificazione inadeguata e scarso collegamento tra scuola e imprese i deficit maggiori.
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Perché l'apprendistato in Italia non riesce a decollare? Probabilmente perché si sono sovrapposte troppe riforme. E poi perché le parti sociali non sono coinvolte in maniera attiva, manca una partnership tra azienda e scuole sui fabbisogni formativi ed è scarsa l'alternanza scuola-lavoro. Ancora, c'è un sistema di certificazione delle competenze che è inadeguato. Sono solo alcune delle motivazioni per come emergono da uno studio di Adapt, il centro studi fondato da Marco Biagi e diretto da Michele Tiraboschi, che ha messo a confronto le 13 linee guida indicate dalla Commissione europea come fattori chiave per il consolidamento di un efficace sistema di apprendistato. "L'Italia - si legge nello studio Adapt - ne soddisfa ben poche e ad ogni riforma si allontana poco alla volta dal benchmark europeo rappresentato dalla Germania. In Italia siamo ancora agli aspetti di dettaglio (forma scritta del piano formativo, formazione pubblica, stabilizzazione) senza alcuna logica di sistema e quasi come se la pianificazione e il controllo di un percorso di apprendimento e crescita professionale fosse poco più di una fastidiosa grana burocratica che penalizza imprese pure desiderose di assumere e investire sui giovani".Molte delle 13 linee-guida indicate dalla Commissione Europea continuano così ad essere puntualmente disattese.* Anzitutto per un rilancio dell’apprendistato, le istituzione europee indicano l’esistenza di un quadro regolatorio e istituzionale stabile. In Italia, con il Jobs Act, siamo, invece, al quarto intervento in tre anni. Dopo l’approvazione del Testo Unico del 2011, infatti, sono giunti in ordine cronologico: la Legge Fornero (2012), il Pacchetto Letta-Giovannini (2013), il Decreto Carrozza (2013);Segue un ruolo attivo delle parti sociali, ma queste sono state via via escluse dalla condivisione delle ultime riforme legislative e hanno dimostrato scarso attivismo soprattutto nell’implementazione dell’apprendistato di primo e terzo livello;

* Anche il coinvolgimento delle imprese è variabile. Su progetti specifici si registrano sperimentazioni interessanti, ma nulla di realmente sistemico;

* Completamente assente risulta poi il dialogo tra mondo del lavoro e mondo della scuola che è decisivo sia in termini di orientamento (dove funziona l’apprendistato è scelta fatta a 15 anni, da noi si accede all’apprendistato solo terminata la scuola) sia per la definizione dei fabbisogni di competenze e per la progettazione di un’offerta formativa corrispondente e adeguata. Questo spiega il grave ritardo su altri quattro punti chiave indicati dall’Europa: un matching virtuoso tra apprendista e realtà ospitante, la diffusione della metodologia dell’alternanza, la certificazione delle competenze, l’avvio di percorsi fortemente personalizzati;

* I pochi punti forte della via italiana all’apprendistato sembrano essere l’esistenza di finanziamenti ad hoc, una disciplina contrattuale definita e una buona qualità nel tutoraggio degli apprendisti che, però, rischia ora di essere penalizzata dal venir meno del piano formativo individuale, vera bussola per il percorso formativo del giovane. La distanza con gli altri Paesi europei rimane quindi abissale. In Europa, l’apprendistato è un sistema integrato tra mondo della scuola e mondo del lavoro. In Italia, invece, è un contratto di primo inserimento fortemente incentivato, ma poco formativo.

Lo studio completo può essere consultato all'indirizzo: www.bollettinoadapt.it.

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