mercoledì 5 maggio 2010
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La legge 300 del 1970, meglio nota come «Statuto dei lavoratori», ha segnato un’epoca. Con essa i diritti del lavoro, solennemente proclamati nella Carta costituzionale del 1948, fanno il loro definitivo ingresso nelle fabbriche e nelle dinamiche quotidiane dei luoghi di lavoro. È stata una svolta determinante per l’effettività di principi e tutele di legge ancora gracili, perché spesso disattesi nei contesti lavorativi del tempo, quando un semplice “cenno del capo” consentiva al datore di lavoro di sbarazzarsi senza troppi problemi delle persone non gradite in azienda. Ed è stata una svolta decisiva anche per la libertà e dignità di un lavoratore fino ad allora oggetto di interventi protettivi di impronta paternalistica. Come se si trattasse di una sorta di minus habens. Senza alcuna possibilità di riscatto come persona, prima ancora che come protagonista dello sviluppo economico e sociale del Paese. La legge 300 si proponeva un vasto intervento di rafforzamento delle tutele nei luoghi di lavoro. Un vero e proprio «statuto» o «carta dei diritti» della persona che lavora. Tale da consentire al cittadino-lavoratore di recuperare pienamente, anche in ambito lavorativo, la propria soggettività contrattuale e relazionale. E lo faceva secondo i condizionamenti del tempo. Fotografando cioè le logiche e gli assetti di produzione della grande fabbrica industriale – incentrata su modelli di organizzazione del lavoro standardizzati e di impronta prevalentemente fordista-taylorista – e con un perimetro aziendale fisicamente ben definito. Come altrettanto definiti erano i cicli di vita e i percorsi di lavoro, tendenzialmente stabili e proiettati per una carriera ininterrotta, dalla assunzione fino al raggiungimento della pensione. Confermata l’idea del governo pubblico delle fasi di incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, secondo una visione rigorosamente monopolista, la legge 300 si concentrava esclusivamente sulla fabbrica quale regno, fino ad allora incontrastato, della autorità del datore di lavoro. E lo faceva enucleando, in primo luogo, un corpus di diritti fondamentali, agevolmente azionabili, a tutela della libertà e dignità della persona del lavoratore. Bilanciando, in secondo luogo, i poteri del datore di lavoro attraverso il riconoscimento e la valorizzazione del ruolo del contro-potere sindacale quale principale strumento di autotutela del prestatore di lavoro. Un sindacato che, grazie all’intervento della legge, inizierà a individuare nella fabbrica il luogo privilegiato della sua azione. Quarant’anni di Statuto confermano l’importanza davvero storica di questa legge. Ma anche la profonda distanza che la separa dai nuovi modelli di produzione e di organizzazione del lavoro e dalla più recente evoluzione di un mercato del lavoro sempre più terziarizzato e frammentato. Con forza lavoro intermittente e flessibile e per questo sempre meno radicata presso la stessa azienda. Con continue transizioni occupazionali e professionali. Che richiedono nuovi diritti e tutele anche per chi non lavora in azienda. Perché inoccupato, disoccupato o semplicemente coinvolto in processi di riconversione e ristrutturazione che implicano l’insorgere di nuove esigenze che spiazzano le vecchie tutele di legge e di contratto collettivo e suggeriscono la definizione di diritti post-moderni. Tra i più importanti dei quali quello della formazione continua lungo l’intero arco della vita, non contemplato dalla legge 300, e che tuttavia oggi rappresenta l’unica e vera garanzia di stabilità occupazionale. La sfida dello Statuto dei lavoratori era e ancora oggi è tutta qui. Nella capacità cioè di superare atteggiamenti e mentalità di mera conservazione dell’esistente rispetto alla imponente evoluzione dei mercati del lavoro. Perché uno statuto rigido, ancorato a modelli del passato, tradirebbe la sua funzione storica che è ancora pienamente attuale. Quella cioè di approntare, al di là delle tecniche e delle norme di dettaglio di volta in volta adottate, un sistema di tutele moderne e mobili tali da consentire il pieno sviluppo della persona attraverso e nel lavoro.
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