lunedì 26 agosto 2013
Sono 500 i Comuni che hanno aumentato l'addizionale Irpef. E nel 2014 stangata dalle Regioni.
COMMENTA E CONDIVIDI
L'Imu federalista? Gli italiani la stanno già pagando, in un certo senso. Mentre in primo piano infuria la polemica su come trovare (e far risparmiare agli italiani) i 4 miliardi necessari per cancellare l’imposta comunale sulla prima casa, nelle retrovie - e quasi senza accorgersene - i contribuenti si ritrovano con altri aumenti locali che "sfilano" soldi dalle loro tasche. È il dazio da pagare, appunto, al federalismo all’italiana.Sono già circa 500 i sindaci che hanno ritoccato all’insù le aliquote dell’addizionale comunale all’Irpef per l’anno in corso. Per maggiori incassi stimati preventivamente in almeno 400 milioni di euro, che porteranno a 4 miliardi gli introiti in arrivo globalmente da questa voce. Cifre che confermano la galoppata dell’anno scorso, quando i municipi rastrellarono più di 3,6 miliardi, con un forte aumento di quasi il 25% rispetto al 2011. Ci sono poi quei sindaci che hanno già utilizzato per tempo la leva fiscale per la stessa Imu: in attesa di capire quali saranno le decisioni del governo, hanno pensato di cautelarsi e di mettere al riparo i conti ritoccando le aliquote per le seconde case sulle quali - che alla fine si chiami Imu o Service tax - si dovrà pagare (e si è già versata la prima rata a giugno).Il caso-limite è quello di Genova, dove il sindaco Marco Doria non solo ha portato dal 7,6 al 9,5 per mille la tassazione sulle case ad "affitto concordato", ma ha addirittura pensato d’innalzare dal 5 al 5,8 per mille l’Imu prima casa, che pure dovrebbe essere abolita. Non dipende invece dai sindaci, ma dai governatori, e scatterà solo da gennaio 2014, la nuova stangata sull’addizionale regionale. Destinata però a fare ancor più male ai contribuenti: il servizio politiche territoriali della Uil ha previsto possibili rincari nella media del 36,2% per un’imposta che già nel 2012 ha fatto incassare 10,7 miliardi, con un <+corsivo>boom<+tondo> del 27% sull’anno prima.Insomma, al tirar delle somme, ecco che i 4 miliardi (ma per ora ce ne sono solo 3,4) che dovremmo risparmiare sull’Imu, finiremo col pagarli per altre vie. Specchio delle difficoltà dei conti locali, messi a repentaglio anche dalla raffica di tagli degli ultimi anni e gettati nell’incertezza dal disordine normativo (non solo per l’Imu). È il caso della <+corsivo>spending review<+tondo>: il governo Monti decise a carico dei Comuni per il 2013 un mega-taglio da 2,25 miliardi ma il decreto attuativo, che si sarebbe dovuto emanare a metà febbraio, è rimasto invischiato nelle pastoie del cambio di legislatura e a oggi ancora non c’è. Questo malgrado una legge successiva, quella che per prima ha sbloccato i debiti della P.A. con le imprese, abbia precisato che i tagli vanno parametrati al calcolo delle spese medie 2010/12 per i "consumi intermedi" dei Comuni, anziché al solo anno 2011.Ritardi e lacune che fanno capire la difficoltà d’impostare i bilanci per i sindaci, per quanto "rinfrancati" dalla prospettiva, loro assicurata dal governo Letta, che 2 miliardi li potranno recuperare nell’operazione di passaggio alla Service tax. Da qui il ricorso alla leva fiscale. Senza differenze fra grandi città e piccoli comuni. A Milano, a esempio (dove si paga dai 33.500 euro in su), già un anno fa era stato deciso per il 2013 un aumento per i vari scaglioni di un decimale, fissati ora fra lo 0,2 e lo 0,8%, e adesso si sta discutendo se portare l’addizionale allo 0,8% per tutti, per di più abbattendo la soglia esente. Già, perché i consigli comunali hanno tempo fino al 30 settembre per approvare le nuove delibere. Caso diverso è Roma, già oberata al livello dello 0,9%; ma qui lo 0,4% è girato allo Stato per ripagare gli aiuti anti-crack a suo tempo concessi dopo la gestione Veltroni (l’aliquota effettiva è allo 0,5%). Sulla scia, sono molti i sindaci che hanno deciso di salire al livello massimo oggi previsto, lo 0,8%. Resta l’eccezione di Firenze, dove difatti il sindaco Matteo Renzi non perde occasione per ricordare che, dalle sue parti, l’addizionale è scesa invece dallo 0,3 allo 0,2%.Ma il vero timore è per gli effetti delle manovre sull’altra addizionale. Le aliquote in alcune Regioni (Campania, Calabria e Molise) in forte deficit sanitario potranno salire dall’attuale 2,03 fino al 2,63%, dopo che il "decreto Monti" sulla spending review ha anticipato di un anno (al 2013) gli aumenti previsti nel 2011 dal federalismo fiscale di Calderoli-Tremonti. Aumenti che, addirittura, dal 2014 potrebbero vedere un altro scatto "secco" dell’1% in più. Per dare un’idea, secondo i calcoli Uil, il cittadino campano si troverà a pagare in media 566 euro di addizionale. Non va meglio nelle altre 5 Regioni in difficoltà per la sanità: potranno arrivare al 2,33% Piemonte, Puglia, Abruzzo e Sicilia, con la punta massima del Lazio dove in media si potrebbe pagare 616 euro. Un mosaico in ogni caso difficile da comporre. Ma con una categoria di sicuro scontenta: i contribuenti.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: