venerdì 28 gennaio 2022
Il rapporto realizzato dal Consorzio Interuniversitario mette in evidenza il gender gap in termini di realizzazione professionale ma soprattutto di retribuzione
Laureate a pieni voti ma pagate meno dei colleghi

Laureate a pieni voti ma pagate meno dei colleghi - Ansa

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Laureate più motivate e intraprendenti, laureati più occupati e pagati. È quanto emerge dal rapporto "Laureate e laureati: scelte, esperienze e realizzazioni professionali" realizzato dal Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea, e che è stato presentato ieri presso l’università di Bologna, dal direttore Marina Timoteo alla presenza del ministro dell'Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa. Nel 2020 le donne costituiscono quasi il 60% dei laureati in Italia. Proviene da una famiglia in cui almeno uno dei genitori ha la laurea il 28,3% delle laureate e il 34,3% dei laureati.

Le donne dimostrano migliori performance pre-universitarie (voto medio di diploma 82,5/100, mentre è 80,2/100 per gli uomini); inoltre, provengono più di frequente da percorsi liceali (l'80,7%, rispetto al 68,0% degli uomini). Le donne prendono parte più degli uomini alle esperienze di tirocinio curriculare (61,4% rispetto al 52,1%), ma anche alle esperienze di lavoro durante gli studi (66,0% rispetto al 64,0%) e a quelle di studio all'estero (11,6%, rispetto al 10,9% degli uomini), anche se per queste ultime le differenze con gli uomini risultano molto contenute e poco rilevanti. Le performance universitarie, in termini sia di regolarità negli studi sia di voto di laurea, sono migliori per le donne (concludono gli studi in corso il 60,2% delle donne, rispetto al 55,7% degli uomini; il voto medio di laurea è, rispettivamente, pari a 103,9 e 102,1/110). Quanto agli esiti occupazionali sono confermate le note differenze di genere, nel breve e nel medio periodo, per le diverse possibilità di inserimento nel mercato del lavoro e di valorizzazione professionale.

Il tasso di occupazione registra percentuali a vantaggio degli uomini: tra i laureati di primo livello a cinque anni dal titolo pari all'86% per le donne e al 92,4% per gli uomini; tra quelli di secondo livello rispettivamente pari a 85,2% e 91,2%. La pandemia ha poi tendenzialmente ampliato i differenziali di genere, soprattutto in termini di tasso di occupazione. Inoltre, a 5 anni dal titolo, in presenza di figli il divario di genere si amplifica ulteriormente. Gli uomini risultano avvantaggiati anche rispetto ad alcune caratteristiche del lavoro svolto: per loro maggiore lavoro autonomo o alle dipendenze con un contratto a tempo indeterminato, per le donne, invece, più contratti non standard, ossia principalmente alle dipendenze a tempo determinato (17% per le donne e 12,2% per gli uomini tra i laureati di primo livello; 18,9% e 11,5% tra quelli di secondo livello) anche perché occupate, più degli uomini, nel settore pubblico (35,8% e 28,4% tra i laureati di primo livello; 24,4% e 16,5% tra quelli di secondo livello). Settore in cui, a tal proposito, i tempi di stabilizzazione contrattuale sono notoriamente più lunghi in molteplici ambiti, tra cui, ad esempio, quello - tipicamente femminile - dell'insegnamento. La migrazione per motivi di studio dei meridionali è più intensa per gli uomini rispetto alle donne (23,6%, +2,9 punti percentuali rispetto al 20,7% delle donne), anche se negli anni più recenti il divario di genere è andato via via attenuandosi.

In termini retributivi si conferma il vantaggio a favore degli uomini. In particolare, a cinque anni dalla laurea, gli uomini percepiscono, in media, circa il 20% in più: tra i laureati di primo livello 1.374 euro per le donne e 1.651 euro per gli uomini; tra quelli di secondo livello rispettivamente 1.438 euro e 1.713 euro. L'analisi della professione svolta a cinque anni dalla laurea mostra che sono soprattutto gli uomini a occupare professioni di alto livello, ossia di tipo imprenditoriale o dirigenziale (2,2% tra le donne e 3,9% tra gli uomini) e a elevata specializzazione, ossia per cui è richiesta almeno una laurea di secondo livello (61,7% tra le donne e 63,6% tra gli uomini); inoltre, i dati analizzati evidenziano anche alcuni meccanismi di ereditarietà della professione tra genitori e figli, in particolare maschi.

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