giovedì 7 ottobre 2021
Revisione dei parametri che penalizzano famiglie numerose e extracomunitari e maggiore flessibilità per i redditi da lavoro
Alleanza per la povertà chiede revisione dei parametri del RdC per renderlo più equo

Alleanza per la povertà chiede revisione dei parametri del RdC per renderlo più equo - Ansa

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Rivedere i meccanismi che fanno del Reddito di cittadinanza una misura non perfettamente "centrata" con gli obiettivi per i quali era stato istituito due anni e mezzo fa. Correggendo alcune distorsioni che penalizzano le famiglie numerose e i cittadini extracomunitari e investendo sulle politiche attive del lavoro. La sfida più importante è ribaltare un sistema basato sull’assistenzialismo. Perché l’assegno rischia di trasformarsi in una vera e propria "trappola" della povertà: pur di non perderlo i beneficiari scelgono di non lavorare, continuando quindi a rimanere in uno stato di bisogno. L’Alleanza per la Povertà (nata nel 2013 composta da 36 realtà tra istituzionali locali, associazioni, terzo settore, e sindacati) ha studiato il RdC in tutte le sue sfaccettature, elaborando una proposta complessiva per una sua riforma. «Non va abolito ma riformato – spiega Roberto Rossini, portavoce dell’Alleanza – affinché sia più efficace nel contrastare la povertà e consentire il reinserimento sociale. La povertà è complessa, non si riduce alla semplice assenza di lavoro». La prossima legge di bilancio non dovrebbe dunque solo limitarsi a destinare le risorse necessarie (l’anno scorso 7 miliardi) e a coprire il previsto aumento della platea degli aventi diritto che attualmente è di 3,5 milioni di persone.

Sono otto le proposte concrete illustrate ieri da Stefano Sacchi, docente al Politecnico di Torino e coordinatore del comitato scientifico dell’Alleanza, che verranno sottoposte a governo e Parlamento. La prima riguarda la famiglie numerose che sono obiettivamente penalizzate dai criteri di calcolo del reddito. L’Alleanza propone di adottare come parametro quello dell’Isee che dà un peso progressivo al numero di componenti del nucleo. Questo consentirebbe di aiutare 400mila famiglie che si trovano in condizioni di povertà, accrescere in media di circa 1.800 euro annui l’importo medio per chi già lo percepisce. Tra le richieste quella di rendere cumulabile il RdC con l’assegno unico per i figli. Il costo annuo stimato per questo ampliamento è di 2,3 miliardi di euro l’anno. La seconda proposta riguarda i cittadini extracomunitari per i quali al momento è previsto il criterio di residenza di dieci anni, di cui gli ultimi due continuativi. L’Alleanza suggerisce una revisione che lo riduca a due anni. Produrrebbe come effetto 150mila beneficiari in più, con un costo di 900 milioni l’anno. Un altro punto fondamentale è la possibilità di erogare il RdC anche a chi lavora riducendo la tassazione applicata al reddito da lavoro dal 100% fino al 60%.

Nell’ottica della razionalizzazione dei criteri di accesso si chiede un allentamento dei vincoli aggiuntivi sul patrimonio mobiliare, un servizio di accompagnamento alla presentazione della domanda per evitare il rischio di esclusione di nuclei particolarmente disagiati, con la reintroduzione dei punti unici di accesso previsti per il Rei. Fondamentale è poi la presa in carico personalizzata e un maggiore controllo incrociato per evitare abusi.Il vero tallone d’Achille della misura restano i percorsi di attivazione lavorativa. I beneficiari attuali hanno un profilo molto lontano dal mercato del lavoro: la metà di loro non aveva un’occupazione da almeno tre anni, un terzo non l’aveva mai avuto (in base ai dati Anpal). A rendere più che mai urgente una revisione del sistema, che punti all’inserimento lavorativo, è la crisi innescata dalla pandemia. L’Alleanza stima un aumento dei beneficiari dell’8,6%, pari a 160mila nuclei familiari. I nuovi beneficiari sono più giovani dei precedenti, sono nella maggioranza dei casi italiani, vivono soprattutto al Centro e al Nord. Aumentano le famiglie con due figli a carico, i nuclei monoreddito da lavoro dipendente e i lavoratori autonomi: il 64% delle famiglie a rischio contiene al proprio interno almeno un lavoratore autonomo, a fronte del 15% nella platea precedente, spesso impiegato nei settori del commercio, della ristorazione e alberghiero.

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