martedì 29 marzo 2016
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Premessa d’obbligo: c’è bio e bio. Produrre energia “pulita”, di origine non fossile e rinnovabile cioè può non essere sempre e comunque sostenibile. Un allarme per l’impatto delle benzine “bio” sulla fame nel mondo ad esempio arriva dai ricercatori del Politecnico di Milano. Secondo il loro studio, grano e soia, mais e canna da zucchero coltivati per alimentare le autovetture attraverso la produzione di biocarburanti di prima generazione che promettono di ridurre il ricorso al petrolio, se fossero usati invece come cibo potrebbero sfamare un terzo delle persone malnutrite nel pianeta. I dati pubblicato sulla rivista Scientific Reports, stimano che nel 2013 per i biocombustibili si sono utilizzati il 4% delle terre agricole e il 3% dell’acqua dolce dedicata alla produzione di cibo: un quantitativo di risorse naturali sufficiente a dar da mangiare a 280 milioni di persone, se fosse invece impiegato per l’agricoltura. Sempre nel 2013 abbiamo bruciato 65 milioni di tonnellate di bioetanolo e 21 milioni di tonnellate di biodiesel a livello globale. Alla loro produzione sono stati destinati 41,3 milioni di ettari di campi e 216 miliardi di metri cubici d’acqua. L’Italia è il quinto consumato- re mondiale - dopo Usa, Brasile, Francia e Germania di biodiesel, cui ha dedicato 1,25 milioni di ettari di terreno e 4,3 miliardi di metri cubici d’acqua. Il bioetanolo italiano ha invece comportato l’uso di 39mila ettari di campi e 229 milioni di metri cubici d’acqua. Il bioetanolo è prodotto dalla fermentazione di canna da zucchero e mais, cui seguono grano, barbabietola da zucchero e sorgo. Le risorse agricole che impiega potrebbero essere usate per coltivare cibo per 200 milioni di persone. Il biodiesel ricavato chimicamente invece utilizza olio di palma, soia e colza. «Alcune delle materie prime per questi biocarburanti di prima generazione potrebbero essere usate direttamente a scopo alimentare», dice Maria Cristina Rulli del Politecnico, tra gli autori dello studio. «La ricerca sta andando avanti sui biocombustibili di seconda generazione in cui si usano prodotti secondari», come scarti della produzione agricola e oli esausti, «e anche di terza generazione, in cui si impiegano le alghe». Tali soluzioni puntano a «diminuire la competizione tra energia e cibo, ma servirà del tempo prima riescano a produrre la stessa quantità di biocombustibili di prima generazione prodotta oggi». Nel frattempo la competizione, spinta dalle leggi sulle energie rinnovabili, rischia di acuirsi. Se la produzione di biocombustibili aumentasse, come si prevede, fino a rappresentare il 10% di tutti i carburanti usati nel settore dei trasporti, il pianeta potrebbe rispondere alla domanda alimentare solo di 6,7 miliardi di persone, a fronte di una popolazione mondiale attuale di 7,4 miliardi. Ci sarebbe cioè un deficit di cibo per 700 milioni di persone. Una situazione destinata a peggiorare col crescere degli abitanti della Terra, che dovrebbero raggiungere i 9 miliardi già entro la metà di questo secolo. Alberto Caprotti La ricerca La Fiat Panda Biomethair con un piccolo motore ottimizzato per l’utilizzo del biometano fa rifornimento di gas all’impianto dell’Acea Pinerolese
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