giovedì 18 giugno 2020
Rientra tra le misure per limitare al minimo il pericolo di contagio, ma fa sorgere, però, questioni legate alla privacy
Controllo della temperatura prima di cominciare a lavorare

Controllo della temperatura prima di cominciare a lavorare - Archivio

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Lavorare ai tempi del Coronavirus non è semplice. Numerosi sono i problemi da affrontare, dallo smart working alla riorganizzazione degli spazi lavorativi. Per quelle aziende che non hanno interrotto le loro attività o che hanno riaperto nelle ultime settimane, è necessario applicare una serie di protocolli previsti dai Dpcm di marzo e aprile, volti a minimizzare il rischio di contagio nei luoghi di lavoro. Molte aziende hanno scelto la misurazione della temperatura per identificare i soggetti che potrebbero aver contratto il virus. Si tratta, però, di una tematica estremamente delicata, poiché una prassi come quella dal rilevamento della temperatura rientra all’interno della normativa sulla privacy e del trattamento dei dati personali. Adp Italia - ramo italiano di Adp, multinazionale leader nella gestione del capitale umano - ha affrontato questo problema in una serie di webinar, proponendo possibili soluzioni.

I protocolli e il problema della privacy
Secondo l’articolo 2 del Dpcm del 26 aprile, qualora l’azienda non garantisca gli adeguati livelli di protezione sia del personale sia di eventuali soggetti esterni, dovrà sospendere la propria attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza, certificate dagli uffici territoriali dell’Ispettorato del Lavoro. Tra le pratiche che garantiscono questa tutela rientra anche la rilevazione della temperatura: per quanto non sia obbligatoria, infatti, è uno dei modi più veloci per identificare e isolare tempestivamente gli eventuali dipendenti la cui temperatura corporea risulti superiore ai 37,5°, limite fissato dal Protocollo Condiviso del 24 aprile 2020. Tutto ciò deve avvenire nel rispetto delle indicazioni in materia di privacy: i dati possono essere trattati, quindi, esclusivamente per finalità di prevenzione dal contagio da Covid-19 e non devono essere diffusi o comunicati a terzi al di fuori delle specifiche previsioni normative.

«Per evitare di infrangere le norme della privacy - spiega Marisa Campagnoli, Direttore Hr Adp Italia - è buona norma non tenere registrati i dati della temperatura, se non nel caso questa risulti superiore ai 37,5° in modo da documentare le ragioni che hanno impedito l’accesso in azienda. È necessario inoltre fornire ai dipendenti, anche solo oralmente, l’informativa sul trattamento dei dati personali, e definire le misure organizzative e di sicurezza adeguate a proteggere i dati. Vi sono ad esempio dei software che, nel caso la temperatura sia superiore alla soglia prevista dalla legge, generano automaticamente nel server un evento con tutti i dati di dettaglio inviando automaticamente una mail o un sms agli enti preposti, mettendo in atto, allo stesso tempo, le direttive aziendali previste in questo caso. Il tutto nel massimo rispetto della normativa privacy».

Quindi, essendo che la rilevazione in tempo reale della temperatura corporea costituisce un trattamento di dati personali e, pertanto, deve avvenire ai sensi della disciplina privacy vigente, si suggerisce di:

1. Rilevare la temperatura e non registrare il dato acquisito. È possibile identificare l’interessato e
registrare il superamento della soglia di temperatura solo qualora sia necessario a documentare le ragioni che hanno impedito l’accesso ai locali aziendali.

2. Fornire l’informativa sul trattamento dei dati personali. Si ricorda che l’informativa può omettere le informazioni di cui l’interessato è già in possesso e può essere fornita anche oralmente.
Quanto ai contenuti dell’informativa:

• con riferimento alla finalità del trattamento potrà essere indicata la prevenzione dal contagio da Covid-19;
• con riferimento alla base giuridica può essere indicata l’implementazione dei protocolli di sicurezza anticontagio ai sensi dell’art. art. 1, n. 7, lett. d) del Dpcm 11 marzo 2020;
• con riferimento alla durata dell’eventuale conservazione dei dati si può far riferimento al termine dello stato d’emergenza.

3. Definire le misure di sicurezza e organizzative adeguate a proteggere i dati. In particolare, sotto il profilo organizzativo, occorre individuare i soggetti preposti al trattamento e fornire loro
le istruzioni necessarie.

«I dati possono essere trattati esclusivamente per finalità di prevenzione dal contagio da Covid-19 e non devono essere diffusi o comunicati a terzi al di fuori delle specifiche previsioni normative, come per esempio nel caso di richiesta da parte dell’Autorità sanitaria per la ricostruzione della filiera degli eventuali contatti stretti di un lavoratore risultato positivo al Covid-19», conclude Campagnoli.


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