mercoledì 13 ottobre 2010
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L'accordo siglato da Fim-Cisl e Uilm-Uil con la Fiat per la riorganizzazione e il rilancio dello stabilimento di Pomigliano d’Arco ha scatenato un furioso dibattito a livello sindacale e politico che, com’è noto, è poi trasceso in fatti ed episodi di grave intolleranza e violenza. Chi, come i metalmeccanici della Cgil, contesta l’intesa sull’insediamento campano, accusa i firmatari di avere leso alcuni diritti fondamentali dei lavoratori, mettendo a rischio (derogando) le tutele previste dal contratto nazionale. In realtà, se Pomigliano d’Arco è un caso per certi versi particolare, questioni di peso oggi al centro della discussione – come i 18 o i 21 turni di lavoro, la disciplina degli straordinari, la pausa mensa e perfino lo sciopero – sono da tempo oggetto di contrattazione tra le parti: senza scandalo, senza polemiche sui giornali e, quasi sempre, con il beneplacito pure dell’organizzazione guidata da Guglielmo Epifani nelle sue diverse categorie. «Quello che hanno deciso a Pomigliano – evidenzia, Giovanni Baratta, segretario generale della Femca-Cisl del Piemonte – noi l’abbiamo fatto oltre 20 anni fa. Il primo accordo sull’utilizzo degli impianti e sul lavoro al sabato risale al 1987, alla Michelin di Cuneo. Successivamente, in molti contratti nazionali (chimica, gomma-plastica, piastrelle, vetro, tessile) si è definita la possibilità di discutere a livello aziendale una diversa distribuzione dell’orario. Tra i tessili si sono realizzate intese avanzatissime al riguardo, pur di mantenere l’occupazione nel settore. Questa possibilità, invece, non c’è mai stata nei contratti dei meccanici e per questo ora si sono rese necessarie le deroghe». L’elenco delle grandi aziende (tra i mille e i 2mila addetti) dove i 18 o i 21 turni (e quindi il lavoro nel weekend sono da tempo la norma è nutrito. È così alla Michelin di Cuneo (alcuni reparti sono a 18 turni, altri a 21, si sta trattando il rinnovo del contratto per estendere a tutti i 21 turni e la Filcem-Cgil è regolarmente seduta al tavolo) e a quella di Alessandria (18 turni). Lo stesso accade alla Pirelli di Settimo Torinese, che ha unificato due stabilimenti in uno unico con un investimento di oltre 140 milioni di euro (è in corso, però, la gestione di circa 500 esuberi), e ha firmato un accordo con orario a 21 turni con cinque squadre invece delle solite quattro, il che ha consentito di ridurre gli esuberi. Dal comparto gomma-plastica a quello del vetro, lo scenario non cambia. Negli stabilimenti (imprese da 100 a 300 dipendenti) che producono vetri per l’industria automobilistica (Agc di Cuneo, Saint-Gobain di Savigliano, Pilkinton di Settimo Torinese) si lavora al sabato, e in alcuni casi anche la domenica, da almeno 15 anni. A questi risultati si è giunti dopo confronti anche accesi e difficili, ma senza arrivare alle criticità della situazione attuale. Dal Piemonte alla Lombardia. La Novelis (fino al 2004 Alcan) di Pieve Emanuele e Bresso, nel milanese, è una realtà metalmeccanica che lavora l’alluminio, di proprietà del gruppo indiano Aditya Birla. La storia dell’azienda è una storia di accordi innovativi. Sin dagli anni ’90 quando a fronte di investimenti per aumentare produttività e occupazione chiede e ottiene anche dalla Fiom-Cgil di poter derogare al contratto nazionale in materia di orario di lavoro o introducendo una sorta di salario di ingresso (la 14° per i nuovi assunti a regime in 4 anni). Ma le flessibilità vanno oltre, fino a "regolare" il diritto di sciopero. Nello stabilimento di Pieve Emanuele è inserito un grande impianto a quattro forni che produce rotoli di alluminio e che deve andare a ciclo continuo. Se viene fermato, per esempio in caso di sciopero, è un grosso guaio perché ci impiega 48 ore a ripartire. Il problema è stato risolto facendo gli scioperi "a metà". In altre parole la Rsu, composta da tre delegati Fiom, uno Fim e uno Uilm, garantisce il funzionamento di due dei quattro forni anche durante le agitazioni. È stato così anche in occasione dell’ultima protesta, proclamata solo dalla Cgil. Non è un accordo, è una specie di codice di autoregolamentazione interno condiviso da tutte le sigle sindacali. Qui i 21 turni si fanno in ogni reparto e la domenica, che è pagata bene, c’è la fila per lavorare. Sempre in Lombardia è interessante il caso della Condenser di Ispra, nel varesotto. L’azienda (italiana, con un sito in Polonia), che produce evaporatori per frigoriferi, prima dell’estate annuncia 25 esuberi (su 130 dipendenti). Il sindacato non ci sta, iniziano le trattative e si trova un’intesa per abbassare i costi, aumentare la produttività e ridurre i licenziamenti. «Abbiamo definito una diversa distribuzione dell’orario e dei turni – osserva Giuseppe Marasco, operatore della Fim-Cisl di Varese – la pausa mensa di 30 minuti, ad esempio, viene spezzata in due da 15 minuti e per effetto della variazione dell’orario da turno a giornata i lavoratori perdono un 3,7% di stipendio rispetto a prima. In compenso gli esuberi sono scesi a 19 e io credo che scenderanno ancora e sulla produttività è stata istituita una commissione mista. Inoltre, in azienda circola la voce che grazie all’accordo non è escluso che nei prossimi mesi possano arrivare nuove linee di prodotto. E questo fa ben sperare per il futuro». L’intesa è stata firmata anche dalla Fiom-Cgil e approvata dai lavoratori con un referendum.L’impressione, almeno di chi non condivide la linea di Landini e compagni, è che in ballo non ci sia solo un problema sindacale. «Stiamo parlando di questioni che qui sono vecchie di 20 anni – osserva Michele Zanocco, segretario generale della Fim-Cisl del Veneto – il Veneto ha fondato il suo sviluppo economico e industriale sulla gestione condivisa delle flessibilità. All’Aprilia di Noale, a metà anni ’90, abbiamo firmato un accordo che prevedeva 110 ore di flessibilità. Nel tempo, per far fronte agli aumenti di produzione in molte imprese abbiamo discusso consistenti pacchetti di straordinario, anche al sabato. Quelle che oggi vengono chiamate deroghe, per noi erano misure di responsabilità, finalizzate a creare occupazione, consolidare e far crescere le aziende del territorio. Aziende che si confrontavano con il mercato. Forse prima la Fiat non ne aveva bisogno, perché per anni è stata sostenuta dallo Stato. E tutto ciò è avvenuto senza particolari conflitti tra i sindacati, con anche la firma della Fiom».Un caso che a suo tempo fece discutere è quello della Piaggio di Pontedera (circa 3.300 addetti), nel pisano. Qui dal 2004 c’è un accordo (poi rinnovato nel 2009) sulla flessibilità che prevede l’utilizzo dei sabati. Da febbraio a giugno i dipendenti sono chiamati a presentarsi in reparto per un totale di 64 ore, per 8 sabati a turni avvicendati (dalle 6 alle 14, la prestazione è pagata con una maggiorazione del 45%). Queste ore vengono poi accantonate in "banca" e possono essere godute come permessi, da settembre al gennaio successivo. Chi non le utilizza le riceve in busta paga con un’ulteriore maggiorazione del 15%. La Fiom-Cgil, che si era opposta all’intesa, l’ha firmata dopo l’approvazione tramite referendum dei lavoratori. Scendendo lungo lo Stivale, all’altro estremo dell’Italia, saltano all’occhio i casi dell’Alenia Aeronautica, che in Puglia lavora su commesse della Boeing per il modello 787 e che ha appena firmato due accordi sugli orari con il sindacato. A Grottaglie (circa 500 addetti), in provincia di Taranto, si è raggiunta un’intesa unitaria (quindi anche con la Fiom-Cgil) per l’introduzione dei 18 turni (prima erano 15), con il sabato richiesto dall’azienda per recuperare dei ritardi sulla produzione (per i lavoratori è stato definito un incremento di 170 euro lordi in busta paga, oltre alle maggiorazioni sui turni previste dal contratto). Nello stabilimento di Foggia (più di 900 dipendenti) è stato, invece, trovato un accordo sperimentale (valido fino al 31 dicembre 2010, poi si vedrà se ha funzionato) per il varo dei 21 turni (ma, per ragioni tecniche, ne sono stati implementati 20) per il reparto fabbricazione, mentre al montaggio "viaggiano" già con il 3x6. Qui manca la firma della Fiom-Cgil, ma solo perché non è presente nella Rsu. Insomma, l’accordo per Pomigliano d’Arco è tutt’altro che eccezionale.
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