mercoledì 2 novembre 2016
In Italia sono il 22% della popolazione compresa tra i 15 e i 29 anni. Esperti a confronto per capire ed arginare il fenomeno.
Convegno sui Neet, giovani che non studiano e non lavorano
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Si intitola Neeting, il primo convegno nazionale dedicato ai giovani che non studiano e non lavorano, promosso dall'Istituto Toniolo, dall'Università Cattolica del Sacro Cuore e da Fondazione Cariplo. Alla due giorni - che si terrà il 3 novembre presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore, Aula Pio XI e il 4 novembre presso Base Milano in Borgognone, 34 - interverranno esponenti del governo, del mondo accademico e del mondo imprenditoriale. Il tasso di Neet (i giovani che non studiano e non lavorano) può essere considerato una misura di quanto uno Stato dilapida il potenziale delle nuove generazioni, a scapito non solo dei giovani stessi ma anche delle proprie possibilità di sviluppo e benessere. Con tale acronimo (Not in Education, Employment or Training) vengono indicati i giovani che non partecipano a percorsi di istruzione o formazione e nemmeno stanno svolgendo un’attività lavorativa. Il termine è stato coniato nel Regno Unito verso la fine del secolo scorso, ma il suo uso diffuso inizia dal 2010 quando l’Unione europea adotta il tasso di Neet come indicatore di riferimento sulla condizione delle nuove generazioni. Rispetto all’usuale tasso di disoccupazione giovanile, nei Neet sono compresi tutti i giovani inattivi, non solo i disoccupati in senso stretto. Più nello specifico tale indicatore è espressione delle difficoltà della transizione tra scuola e lavoro.
Tra gli altri prenderanno parte alla I edizione di Neeting: Giuliano Poletti, ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Francesco Botturi, prorettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, Sergio Urbani, direttore Fondazione Cariplo, Stefano Dedalo , direttore Risorse umana di Mc Donalds Italia, Alessandro Rosina, docente di Demografia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e Paola Bignardi, consigliere Fondazione Cariplo.
Le ricadute negative nel medio e lungo periodo possono essere di vario tipo: minori entrate fiscali, costi maggiori per prestazioni sociali, malessere sociale. Ci sono poi però anche costi individuali, sia materiali che psicologici, di difficile quantificazione. Da un punto di vista strettamente economico, secondo le stime dell’Eurofound, il costo corrisponde a circa il 2% del Pil in Italia. In valore assoluto si tratta di circa 36 miliardi di euro.L’incidenza dei Neet nella fascia 15-29 anni era già alta prima della crisi, attorno al 19% (mentre era attorno al 13% la media Ue-28), ed è salita fino al 26,2% nel 2014 (15,4% Ue-28). Nel 2015 il valore è stato pari al 25,7% (14,8% Ue-28) e nella prima metà del 2016 pari al 22,3% (in valore assoluto 2 milioni e 200 mila). Nonostante, quindi, la nuova fase di attenzione avviata nel 2010 in Europa e concretizzata attraverso imponenti iniziative come il Piano “Garanzia Giovani”, partito in Italia a maggio 2014, la discesa del numero di giovani inattivi da livelli record a valori più in linea con gli altri paesi sviluppati sta avvenendo con difficoltà. Una delle difficoltà principali del programma “Garanzia Giovani” è quella di intercettare i Neet più scoraggiati, con bassa scolarizzazione e da più lungo tempo inattivi, che rischiano di diventare un costo sociale permanente.
La composizione dei Neet è, infatti, molto eterogenea, va dal neolaureato con alta motivazione e alte potenzialità che sta attivamente cercando un lavoro in linea con le proprie aspettative (prima eventualmente di riallinearsi al ribasso con ciò che il mercato offre), fino al giovane uscito precocemente dagli studi, scivolato in una spirale di marginalità e demotivazione. Ma rientrano anche le persone che non hanno un impiego per scelta, perché vogliono prendersi tempo per esperienze di diverso tipo o per dedicarsi alla famiglia. In ogni caso, secondo i dati Eurofound, nella composizione dei Neet, in Italia è più bassa rispetto alla media europea la quota di chi ha problemi fisici, mentre è maggiore quella di chi è disoccupato di lunga durata e di chi è scoraggiato. Secondo i dati Eurostat più alto in Italia è anche il numero di Neet che, indipendentemente dalla ricerca attiva o meno, sono interessati ad un lavoro: il dato nel 2015 è pari al 20,3% per l’Italia e 10,3% per la media europea (mentre il dato dei non interessati è analogo: 5,3% Italia e 4,6% Unione europea).I dati dell’indagine “Rapporto giovani” svolta ad ottobre 2016 su un campione rappresentativo di 5200 giovani tra i 18 e i 34 anni, mostrano che, nella fascia considerata, meno del 20% dei Neet non sta cercando lavoro (14,5 tra i maschi e 23,3% tra le femmine), mentre oltre l’80% è interessato ad una occupazione anche se la cerca con vario impegno e convinzione. E’ interessante osservare che anche una buona quota di chi sta attualmente studiando è pronto a valutare un’offerta di lavoro (attorno al 30%). Tra i Neet che non cercano lavoro, oltre la metà degli uomini e quasi un terzo delle donne dichiara che se gli venisse offerto un impiego lo accetterebbe subito. Solo una parte molto marginale non cerca lavoro e non è interessata. Da segnalare che la maggioranza delle donne che non cercano lavoro non risulta né disinteressata né pronta ad accettarlo immediatamente nel caso le venisse offerto. Pesa infatti all’interno delle Neet che non cercano lavoro la componente di donne che ha impegni familiari e che rimangono fuori dal mercato del lavoro per difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia.

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