sabato 16 settembre 2017
Schiacciata dai debiti e dalla concorrenza di Amazon da una parte e di Walmart dall'altra, la storica catena americana chiede la protezione dal fallimento.
Un preoccupatissimo coniglio della Sylvanian Family in un negozio Toys "R" Us (Official Ortus via Flickr, https://flic.kr/p/XPgCpx)

Un preoccupatissimo coniglio della Sylvanian Family in un negozio Toys "R" Us (Official Ortus via Flickr, https://flic.kr/p/XPgCpx)

COMMENTA E CONDIVIDI

Le cose si mettono male per Toys “R” Us, la più grande catena di negozi di giocattoli del mondo, che ha chiesto la protezione dal fallimento prevista dalla legislazione americana, il cosiddetto Chapter 11.

I fornitori chiedono pagamenti immediati

Schiacciata da 5 miliardi di dollari di debiti, di cui 400 milioni da restituire il prossimo anno, la catena che con 1.600 negozi è presente in tutti i continenti ha lavorato nelle ultime settimane con la banca di investimenti Lazard per trovare nuove possibili forme di finanziamento. Ma non si è trovata una soluzione. Toys aveva già rinegoziato con i creditori 850 milioni di debiti che avrebbe dovuto restituire tra quest’anno e il 2018, rinviando tutto al 2019, ma non è riuscita a fare il bis con il rinvio degli altri 400 milioni.

Una settimana fa Standard & Poor’s le aveva tagliato il rating spingendo le sue obbligazioni sempre in più basso nella categoria “investimento spazzatura” e soprattutto diversi fornitori pretendevano pagamenti immediati o riducendo le consegne dei giocattoli a causa dell’aumento dei costi dell’assicurazione contro un eventuale insoluto da parte del loro gigantesco cliente. Una situazione drammatica in un momento in cui Toys “R” Us deve fare le scorte in vista del periodo natalizio, quello in cui fa circa il 40% degli incassi dell’intero anno.

Buona parte dei guai della catena sono finanziari. Nel 2005 i fondi Bain Capital, Kkr e Vornado lo hanno comprato e ritirato dalla Borsa pagandolo 6,6 miliardi di dollari presi in prestito. Dall’anno successivo Toys "R" Us si è trovata a dovere restituire ai creditori più o meno 400 milioni di dollari all’anno, mentre la crisi – esplosa nel 2008 – ha inciso sulle vendite.


Le fatiche dell'online

Nel frattempo sono spuntati i nuovi concorrenti. Amazon, a cui all'inizio del millennio la catena aveva affidato direttamente le sue attività di ecommerce, è diventato un rivale tra i più accaniti. Secondo le stime, lo scorso anno il gigante di Jeff Bezos ha venduto giocattoli per 4 miliardi di dollari, con una crescita del 24% rispetto all’anno prima. Nello stesso periodo il mercato americano dei giochi è cresciuto di un più modesto 5% mentre per Toys “R” Us, che ha fatto ricavi per 12 miliardi, le vendite sono diminuite del 5%, ed è stato il quinto anno di calo consecutivo.

Pur avendo investito più di 100 milioni di dollari negli ultimi anni per sviluppare la sua piattaforma di commercio elettronico l’azienda fatica a trovare un suo modello efficace. Nel bel mezzo della campagna di vendite natalizie del 2015 Toys “R” Us è stata costretta a fermare le vendite online perché rischiava di trovarsi sprovvista di giocattoli sugli scaffali dei suoi negozi fisici.

La concorrenza di Walmart

Lo stesso anno il gruppo si è dovuto rassegnare alla chiusura del suo negozio più prezioso, il FAO Schwarz sulla quinta strada di Manhattan, quello in cui Tom Hanks e Robert Loggia ballavano su un pianoforte da pavimento nel celebre film Big. Una scena da fine anni Ottanta. Quando ancora l’online non esisteva e anche i supermercati economici Walmart e Target erano meno agguerriti. Oggi invece sui loro scaffali sono capaci di tenere per settimane giocattoli in promozione con sconti drastici, guadagnando quote di mercato a danno delle catene più tradizionali.

Il fondo Bain ha affidato il rilancio David Brandon, manager che sempre per lo stesso investitore ha saputo gestire e rinventare la catena di pizzerie Domino’s, da poco arrivata anche in Italia. Questa volta il suo lavoro sembra più complicato, perché a causa dei debiti scarseggiano sia il tempo che le risorse. Il gruppo nato settant’anni fa e diventato uno dei simboli del boom economico del secondo Dopoguerra e di un certo tipo di consumismo tipicamente americano rischia di finire in soffitta come accade ai giocattoli quando i bambini crescono.



© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI