giovedì 12 gennaio 2017
La procura chiede il carcere per Lee Jae-yong, vice presidente e guida del colosso sudcoreano: avrebbe pagato mazzette per garantirsi l'appoggio alla fusione interna tra C&T e Cheil.
Lee Jae-yong, il vice presidente di Samsung per cui è stato chiesto l'arresto (Ansa)

Lee Jae-yong, il vice presidente di Samsung per cui è stato chiesto l'arresto (Ansa)

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La procura speciale sudcoreana che indaga sul caso di corruzione con al centro la presidente Park Geun-hye ha chiesto l'arresto di Lee Jae-yong, vice presidente e figlio del presidente della Samsung. Secondo l'accusa l’azienda avrebbe esercitato una forte azione di lobby per garantirsi nel 2015 una fusione (quella tra Samsung C&T e Cheil Industries Inc) considerata essenziale nelle strategie del gruppo e finanziata con l’equivalente di 25 milioni di dollari dal fondo pensionistico nazionale. Denaro finito in iniziative controllate dalla signora Choi Soon-sil, confidente della presidente Park caduta in disgrazia e ora in carcere.

Il mese scorso il Parlamento di Seul aveva chiesto con un voto trasversale di maggioranza e opposizione l’impeachment per il capo dello Stato, che attende ora il verdetto della Corte costituzionale, chiamata a confermare o meno l’esautoramento dal potere anticipato rispetto alla scadenza del mandato, fissata per febbraio 2018.


Essenziale nel decidere della sorte di Lee è l’individuazione certa di rapporti tra le organizzazione guidate da Choi e il colosso dell’elettronica che capitalizza 280 miliardi di dollari, la cui ragione prima è di confermare la connivenza della presidente con Choi nella raccolta di "donazioni" che mascheravano una vera attività estorsiva verso le aziende. Non a caso, forse, la Samsung ha ulteriormente rafforzato la sua struttura proprio nel periodo della presidenza di Park Geun-hye avviata nel febbraio 2013 e nonostante il frazionamento dei grandi agglomerati produttivi in grado di indirizzare economia, finanza e occupazione, fosse nel programma elettorale della presidenza quinquennale.

I contraccolpi rischiano di essere imprevedibili e non solo sulla Samsung a lui di fatto affidata (in corresponsabilità con le due sorelle) dal padre Lee Kun-hee, terzogenito del fondatore. Sono a rischio miliardi di dollari di partecipazioni della famiglia nel gruppo ma anche la stessa credibilità dell’azienda, che dalla metà dello scorso anno ha già risentito dei problemi legati al modello di punta della sua produzione telefonica, il Galaxy Note 7, richiamato a livello globale per seri problemi alla batteria. Dopo la richiesta d'arresto del manager il titolo Samsung ha perso il 2,14%.


Il coinvolgimento diretto ai massimi livelli della dirigenza Samsung era atteso dopo che a inizio settimana scorsa il procuratore aveva convocato due funzionari di livello superiore del gruppo Samsung, anche in base alle ammissioni di Moon Hyung-pyo, già ministro della Sanità e ultimamente a capo proprio del Servizio pensionistico nazionale – tra i maggiori azionisti Samsung – arrestato a dicembre dopo avere riconosciuto di avere esercitato pressioni affinché il fondo consentisse la fusione interna. Una mossa che la stessa presidente Park aveva descritto come attuata «nell’interesse nazionale », segnalando ancora una volta la stretta correlazione tra potere politico e industriale.

Sempre a dicembre, tuttavia, Lee figlio aveva negato di avere esercitato pressioni per ottenere il finanziamento utile alla sua azienda, pur avendo ammesso «donazioni» a fondazioni sostenute dalla presidente e gestite da Choi. Da qui l’iniziativa della Procura che intende utilizzare una eventuale falla da parte della leadership Samsung per concretizzare l’accusa di corruzione nei confronti della presidente Park.

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