Sull'autostrada c'è una chiesa che ha accolto molti pellegrini del Giubileo. Ecco dove
Il tempio progettato da Michelucci in questo Anno Santo ha riscoperto la sua vocazione: “convivio spirituale” dei popoli e tappa di preghiera sull'itinerario verso Roma

C’è un luogo nel cuore dell’Italia dove le strade di chi è in viaggio si incrociano, si intersecano e si incontrano. Lì sorge, costruita come tenda accogliente, la “chiesa dell’autostrada”: una casa dove tutti i popoli in cammino possono riscoprirsi figli dello stesso Dio e trovare nutrimento spirituale prima di rimettersi in viaggio. Si tratta della chiesa dedicata a san Giovanni Battista, lungo il tracciato dell’A1 all’altezza di Firenze Nord. Luogo che, in questo anno santo, in cui i pellegrini vanno e tornano da Roma, riscopre la sua vocazione. L’elenco dei Paesi da cui i visitatori provengono, infatti, parla da solo. A varcarne la soglia sono uomini e donne dell’Asia, degli Stati Uniti, del Brasile, della Repubblica Ceca, della Polonia, dell’Austria, della Germania e della Spagna, nazione da cui sono arrivati, tra l’altro, quattrocento giovani di Saragozza, accompagnati da quattro sacerdoti e dal loro vescovo diocesano. Eccolo, quindi, il “convivio spirituale dei popoli” che in questa chiesa prende forma grazie al passaggio continuo delle anime che si ritrovano nella preghiera e nella contemplazione dell’arte sacra. Anime tra le quali non mancano neanche vescovi alla guida dei propri gruppi. Da lì, infatti, sono passati in questi mesi anche i presuli di Innsbruck, Aosta, Saragozza e di una diocesi dell’Amazzonia.
Questo esserci, fermarsi in preghiera e celebrare la Messa di fedeli provenienti dai più diversi luoghi non ci parla solo di un fenomeno di turismo religioso. Le provenienze e culture dei visitatori mostrano a chi li accoglie o si ferma per una sosta assieme a loro anche le diverse modalità con cui ciascuno anima le liturgie. Può capitare di incontrare un gruppo di latinoamericani o italiani del Sud, espansivi nel manifestare la gioia con cui vivono le celebrazioni, o un gruppo di austriaci, silenziosi e composti. Come pure di osservare la partecipazione numerosa dei polacchi.
Il mondo, sotto la tenda voluta dall’architetto Giovanni Michelucci, si ritrova e si racconta. Sempre consapevole, però, di trovarsi in un luogo santo. Un dinamismo questo a cui l’architetto pensava già mentre scriveva: «Questa chiesa è una piccola città, uno spazio modulato nel quale gli uomini, incontrandosi, dovrebbero, se il linguaggio architettonico ha raggiunto la sua efficacia, riconoscersi in un interesse e in una speranza comune, che è quella di ritrovarsi». Ritrovarsi, sì, ma anche sapere che il viaggio di ciascuno ha una meta ben precisa, nella quale un giorno ci ritroveremo, questa volta per l’eternità, insieme. Dimensione richiamata dall’essenza stessa del Giubileo e dal tema scelto, a suo tempo, da papa Francesco, che volle la speranza al centro dell’anno santo.
Per ricordarcene, ci viene chiesto, quindi, di andare pellegrini a Roma e mettere in cammino, assieme alla nostra anima, anche il nostro corpo. La fatica, anche fisica, che questo comporta fa apprezzare ancora di più le intenzioni di Michelucci: «Ho immaginata questa chiesa di san Giovanni – annotava –, come un riparo per il viandante moderno, saldata al suolo su robusti muri di pietra il cui profilo evoca in controluce quello delle colline vicine». Riparo nel cui confluire degli uomini di diverse provenienze fa già pregustare quella promessa di pace, che è anche alle origini del Giubileo, come afferma Dio stesso nel libro del Levitico: «Nessuno di voi opprima il suo prossimo, poiché io sono il Signore vostro Dio».
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