Preghiera e azione sociale. Ecco chi era don Nervo, padre della Caritas italiana

La diocesi di Padova ha pubblicato l'editto con il quale annuncia la richiesta dell'apertura della causa di beatificazione per il sacerdote padovano
November 27, 2025
Preghiera e azione sociale. Ecco chi era don Nervo, padre della Caritas italiana
Il 9 settembre scorso un editto della diocesi di Padova ha annunciato l’avvio della richiesta per la causa di beatificazione e canonizzazione di don Giovanni Nervo, il sacerdote padovano fondatore della Caritas italiana. Ci aiuta a capire chi era don Nervo - classe 1918, la cui lunga vita ha percorso i grandi mutamenti sociali ed ecclesiali del ‘900 fino a concludersi il 21 marzo 2013 - uno dei tre vicepostulatori, monsignor Antonio Cecconi, 75 anni, sacerdote della diocesi di Pisa (della quale è stato vicario generale) e vicedirettore dell’organismo pastorale della Cei dal 1991 al 2001.
Tra le sue qualità quali l’hanno colpita maggiormente?
Lo spirito di preghiera per niente appariscente. A Malosco, in val di Non, nella casa dove con la Fondazione Zancan si facevano i seminari di formazione della Caritas, lo trovavo sempre già all’alba in preghiera nella cappella. Aveva una religiosità molto discreta, intima, che traspariva dal suo atteggiamento di mitezza, di attenzione verso le persone e verso Dio. Ricordo di avergli parlato di cose che non andavano bene nel mondo ecclesiale. Lui ascoltava e diceva sempre: però la chiesa non è nostra, è del Signore.
Era stato staffetta partigiana, che valori aveva mutuato dalla Resistenza?
Il valore della libertà anzitutto. Nato povero e profugo il 13 dicembre 1918 a Casalpusterlengo a motivo della prima guerra mondiale che aveva visto la sua famiglia sfollata da Solagna (provincia di Vicenza ma diocesi di Padova) visse la giovinezza durante il fascismo e, oltre a scegliere la Resistenza, fece parte del gruppo che stampava al “Barbarigo” - dove lui aveva un compito di assistenza scolastica ed educativa - un giornale clandestino che poi lui portava. Collaborò col Cln locale, con discrezione, ma in prima linea. E ai giovani cristiani saliti in montagna che combattevano andava a dare assistenza religiosa.
San Paolo VI gli chiese di dar vita alla Caritas Italiana, che nel suo testamento don Nervo definisce «l’esperienza più importante e centrale del mio sacerdozio e della mia partecipazione alla vita pastorale». La Cei la istituisce il 2 luglio 1971, Nervo ne sarà presidente fino al 1975 per poi ricoprire, con il cambio dello statuto e la nomina di un vescovo alla presidenza, l’incarico di vicepresidente e direttore fino al 1986. Con che spirito affrontò questa immane opera?
Con lo spirito di fedeltà alla Chiesa e di disponibilità e attenzione grande ai poveri. Ha incarnato nel nostro tempo la stessa cosa che diceva San Vincenzo de’ Paoli: i poveri sono i nostri padroni, Il suo primo, fondamentale obiettivo fu dar vita in ciascuna Chiesa locale alla Caritas diocesana, non soltanto né soprattutto come impegno organizzativo, ma facendo percepire la testimonianza della carità nelle parrocchie come costitutiva dimensione ecclesiologica, accanto all’annuncio della Parola e alla vita liturgica. Era un momento in cui il Concilio aveva responsabilizzato un’ecclesiologia di comunione che diventava servizio concreto soprattutto a partire dalla carità. Girò tutte le diocesi italiane per sensibilizzare i vescovi. Tutto quello che è stato il senso della carità è il senso della vita di Nervo, creare comunità. Non sono importanti solo le cose che ha fatto, ma la sua spiritualità. Chiedeva allo Spirito di farci diventare comunità viva, come quella degli Atti.
Era un uomo del Concilio?
La Caritas stessa è stato il primo frutto coerente con il Concilio Vaticano II della Chiesa italiana. E con lui la Caritas diventa interlocutrice della società italiana e delle realtà civili: interpella Parlamento e Governo su qual è il posto dei poveri negli stanziamenti del bilancio statale ed esprime pareri sulla legislazione per quanto attiene alle politiche sociali e agli assetti territoriali dei servizi alla persona. Tutto questo alla luce di un duplice binomio: carità e giustizia, Vangelo e Costituzione.
Quali furono i primi passi concreto per creare comunità con la Caritas?
Ideò i gemellaggi e i centri comunità nelle emergenze. La prima emergenza dopo poco che la Caritas era sorta fu il terremoto del 1976 in Friuli. Lui subito fu lì presentissimo e così ascoltò i racconti delle persone scampate. Chiese di pensare alla comunità religiosa e civile per cui nacque la scelta del centro comunità, perché le chiese erano crollate quindi serviva un luogo della preghiera, ma lo stesso edificio doveva servire per le riunioni della popolazione e per il consiglio comunale. Il motto non scontato era prima le case e poi le chiese. E il gemellaggio che attivò con un’ottantina di diocesi che si legarono ciascuna con una parrocchia e con un pezzetto di territorio fu una scuola sul campo di solidarietà.
Quando intuì l’importanza della dimensione internazionale della carità?
A partire dalla visita nel Guatemala colpito nel 1976 da un forte terremoto, poi con la campagna di aiuti a Eritrea ed Etiopia alle prese con una grave siccità attivando anche le popolazioni locali nella costruzione di dighe e pozzi. Quando c’era una emergenza internazionale partiva subito. In base anche alla sua esperienza di profugo, promosse l’accoglienza in Italia di oltre 3.000 profughi di Viet-Nam e Cambogia (i boat people) offrendo a ciascuna famiglia alloggio, lavoro e coinvolgimento delle comunità ospitanti in diverse diocesi. In definitiva creò la famosa pedagogia dei fatti, educare facendo e facendo fare.
Secondo il cardinale Zuppi educare alla pace è diventato controcorrente. Nervo fu un educatore di pace?
Si, in tanti modi. Si deve soprattutto a lui la scelta, non scontata, di far stipulare alla Caritas con il ministero della Difesa la convenzione per l’impiego degli obiettori di coscienza in servizio civile. La Caritas non pensava solo ad avere manovalanza giovanile, ma si fece carico di educare gli obiettori a una scelta di pace con la formazione teorico-pratica al servizio ad anziani, minori, disabili, immigrati, tossicodipendenti con la vita comunitaria condivisa, la partecipazione civile ed ecclesiale. Sono i capisaldi attraverso cui la gran parte delle Caritas diocesane ha curato la formazione di migliaia di giovani.
Anche il volontariato italiano gli deve molto.
Nervo gli rivolse sempre una forte attenzione come costante e lucido promotore, ma anche indicatore di possibili rischi e deviazioni. Insieme a Luciano Tavazza e ad altri, promosse i primi convegni del volontariato in un momento in cui attraeva i delusi della sinistra che avevano puntato sul cambiamento delle istituzioni e persone di provenienza diversa vi trovarono un modo concreto per costruire una società solidale. Insisteva sulla gratuità, il disinteresse, la capacità innovativa, il farsi coscienza critica nei confronti delle istituzioni e dei servizi pubblici. Conclusa l’esperienza in Caritas italiana (di cui rimase membro effettivo del Consiglio Nazionale), rientrò a Padova a continuare il mai interrotto lavoro con la Fondazione Zancan, che era – ed è – uno spazio di accoglienza e valorizzazione per tantissime persone di idee e sensibilità religiose, politiche e culturali diverse, accomunate dal dialogo nella ricerca del bene comune, di una società più giusta e solidale.
© riproduzione riservata

© RIPRODUZIONE RISERVATA