Perché la Chiesa continuerà a usare il latino

Nel libro "Bellezza antica e sempre nuova. Il latino nel mondo di oggi" lo scrittore e giornalista Francesco Lepore riflette sull'uso di una lingua ancora in uno tra testi scritti, trasmissioni radiofoniche e account social, lontana dall'essere accantonata
November 4, 2025
Strumentazione radio per la trasmissione del programma
La trasmissione di Radio Vaticana in latino “Hebdomada Papae” / Vatican Media
«Praeterita hebdomada ingens hominum multitudo Olisiponem ex centum octo ginta quattuor regionibus accucurrerunt, ut Papam Franciscum vide rent rectisque eius consiliis aures praeberent». (La settimana scorsa una moltitudine immensa di persone è accorsa a Lisbona da centottantaquattro Paesi, per vedere papa Francesco e ascoltane gli opportuni consigli). È un passaggio del blog dedicato alla chiusura della Giornata mondiale della gioventù di Lisbona – 6 agosto 2023 – scritto da Francesco Lepore per il giornale online Linkiesta. Solo un esempio delle riflessioni latine su diversi argomenti che dal 2020 l’autore – giornalista e scrittore, già latinista papale presso la Segreteria di Stato e poi officiale della Biblioteca Apostolica Vaticana – realizza per la sua rubrica quotidiana O tempora o mores. Adesso quella vasta raccolta di brevi articoli – il latino offre straordinarie opportunità di sintesi – è confluita in un libro, Bellezza antica e sempre nuova. Il latino nel mondo di oggi, con la prefazione del presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Matteo Zuppi (Castelvecchi, 164 pagine). Nell’ampia introduzione, una quarantina di pagine, Lepore spiega perché il latino è tutt’altro che lingua scomparsa. Non solo il suo ruolo resta fondamentale per una maggiore conoscenza delle lingue neolatine, ma la sua capacità di aprire la strada alla conoscenza di saperi e culture di cui sono intrise le nostre concezioni della persona, del senso della collettività, del diritto, rimane insuperabile.
Tra tanti spunti curiosi – gustosissime le righe dedicate agli errori nelle citazioni latine dei politici – c’è un ampio paragrafo sul rapporto tra Chiesa e latino. Senza nulla togliere alle altre sezioni del testo, qui nel mondo che gli è più congeniale, l’autore esprime al meglio la sua trama culturale, la licenza in teologia dogmatica, la laurea in Lettere antiche, gli anni trascorsi alla sezione latina della Segreteria di Stato vaticana, poi abbandonata nel 2006 quando per motivi di coscienza ha scelto di tornare allo stato laicale. Chiesa e latino, spiega Lepore, vivono in stretta simbiosi da duemila anni visto che fino al 1965 quella di Cicerone è stata l’unica lingua della liturgia di rito romano e degli altri riti occidentali. E in latino sono redatti e pubblicati come edizioni tipiche, cioè normative, i libri liturgici di rito romano. Non solo: i follower del seguitissimo account @Pontifex_ln sono oltre un milione, ben più numerosi di quelli degli account papali in tedesco, polacco o arabo. In lingua latina ci sono su Radio Vaticana le due trasmissioni Hebdomada Papae (“La settimana del Papa”), e Anima Latina, Radio colloquia de lingua Ecclesiae – che il 21 settembre ha dedicato un podcast proprio al libro di Lepore – riservate appunto ai cultori del latino. E come dimenticare due istituzioni postconciliari come il Pontificio Istituto superiore di Latinità e la Pontificia Accademia di Latinità, rispettivamente fondate da Paolo VI nel 1964 e da Benedetto XVI nel 2012, finalizzate allo studio e alla promozione della lingua e della cultura latina? Insomma, Chiesa e latino continuano a camminare insieme e appaiono del tutto infondate le voci secondo cui si arriverà presto alla totale abolizione della lingua Ecclesiae. Forse ad alimentarle, ipotizza Lepore, «l’erronea e grossolana identificazione tra lingua e antica forma del rito romano», comprese le restrizioni imposte da papa Francesco con la lettera apostolica Traditionis custodes del 16 luglio 2021. Ma, si dice sicuro l’autore, il latino riuscirà a sopravvivere anche alle divisioni intraecclesiali tra “conservatori” e “progressisti”. E il cardinale Zuppi conferma: «Nella temibile, a volte comica, certamente ignorante polarizzazione generalizzata, il latino non è appannaggio di nessuno. È ricchezza e bene comune».

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