Il Libano ferito accoglie oggi il Papa.
Il vescovo: siamo profezia di pace e dialogo

“Beati gli operatori di pace” è il motto delle tre giornate di Leone XIV nel Paese dei Cedri. «Ma perché sia reale e concreta, ha bisogno di giustizia e riconciliazione», afferma César Essayan, vicario apostolico di Beirut
November 30, 2025
Il Libano ferito accoglie oggi il Papa.
Il vescovo: siamo profezia di pace e dialogo
Uno dei cartelli lungo le strade di Beirut che danno il benvenuto a papa Leone XIV per la sua visita in Libano / REUTERS
Lo definisce «il luogo-simbolo del Libano ferito». Ferito dalla guerra: l’ultima quella di Israele che, nonostante la tregua sancita esattamente un anno fa, ha i suoi strascichi nel sud del Paese. Ferito dalla crisi economica che resta ancora drammatica. Ferito dalla morsa internazionale che ne condiziona le sorti. «È straordinario che Leone XIV si fermi nel porto di Beirut, preghi in silenzio nell’angolo dell’esplosione del 2020 che aveva fatto oltre duecento morti e settemila feriti e che ancora resta avvolta dal mistero, e accenda una candela in memoria delle vittime della violenza e dell’ingiustizia», spiega il vescovo César Essayan. Frate francescano conventuale, 63 anni, guida il vicariato apostolico di Beirut la “diocesi” di rito latino che abbraccia l’intero territorio del Libano. La sua è una delle sei denominazioni della Chiesa cattolica presenti nel Paese.
Il vescovo César Essayan, vicario apostolico di Beirut, con due rappresentanti libanesi del Consiglio dei giovani del Mediterraneo: Emile Fakhoury, a sinistra, e Roudy Jido, a destra / AVVENIRE
Il vescovo César Essayan, vicario apostolico di Beirut, con due rappresentanti libanesi del Consiglio dei giovani del Mediterraneo: Emile Fakhoury, a sinistra, e Roudy Jido, a destra / AVVENIRE
Un Paese «in fibrillazione», come racconta il presule, per la visita del Papa che da oggi a martedì ha scelto il Libano – dopo la Turchia – come meta del primo viaggio apostolico del pontificato. “Beati gli operatori di pace” il motto delle tre giornate durante le quali il Pontefice «potrà toccare con mano le lacerazioni che un conflitto si porta dietro», sottolinea Essayan. E subito aggiunge: «Fin da subito Leone XIV ha posto l’accento sulla pace. Una sfida che vede il Papa spendersi in prima persona ma che chiama in causa tutti, a partire da noi cristiani. Però la pace ha bisogno di altre due dimensioni: la giustizia e la riconciliazione. Soltanto così potrà essere reale e concreta».
Eccellenza, quale Libano incontra il Pontefice che lei accoglierà?
«Nel Sud continuano gli attacchi. La tensione è ancora alta e non è chiaro se si intenda preparare una nuova guerra o si vogliano marcare punti in vista di eventuali negoziati. L’auspicio è che si vada verso la pace: non una pace qualsiasi, soprattutto se si considerano in due anni di conflitto le centinaia di morti e le migliaia di feriti. Serve un accordo di prospettiva che dica davvero come far tacere le armi».
Uno dei cartelli lungo le strade di Beirut che danno il benvenuto a papa Leone XIV per la sua visita in Libano / REUTERS
Uno dei cartelli lungo le strade di Beirut che danno il benvenuto a papa Leone XIV per la sua visita in Libano / REUTERS
Alcuni analisti ipotizzano un’escalation militare di Israele sul Libano dopo la visita del Papa.
«Questi anni ci hanno mostrato che tutto è possibile. Ma anche che le escalation non portano da nessuna parte. Pensiamo a Gaza: emerge già come Hamas sia pronta a riprendere il controllo della Striscia a poco a poco. Si ha l’illusione di vincere una guerra; invece restano solo lutti e distruzione».
Il Libano ha un nuovo presidente dopo due anni di vuoto e un nuovo governo, ma la situazione economica è allarmante.
«Il futuro del Paese dipende da molteplici fattori internazionali: sia per la pace, sia per la questione socio-economica. Stati Uniti, Israele, Iran fanno pressioni. E il nostro popolo sta nel mezzo. Un popolo povero e silenzioso che sopravvive e attende: non ha le carte in mano per scrivere il proprio destino».
Leone XIV farà del Libano un “pulpito” per parlare all’intera umanità?
«È accaduto anche con i suoi predecessori. In un mondo interconnesso, ciò che accade in una parte del pianeta ha ripercussioni in tutto il globo. Papa Francesco diceva che non ci salviamo da soli. La scelta di Leone XIV di compiere qui il suo primo viaggio apostolico testimonia quanto i Papi, e aggiungo la Santa Sede, abbiano a cuore la nostra nazione e la pace in Medio Oriente che passa anche dalla nostra terra. Una terra che ha per vocazione la cultura dell’incontro tra le diverse fedi e il pluralismo fraterno».
Operai al lavoro per il palco della Messa che Leone XIV presiederà martedì sul lungomare di Beirut / ANSA
Operai al lavoro per il palco della Messa che Leone XIV presiederà martedì sul lungomare di Beirut / ANSA
Giovanni Paolo II aveva chiamato il Libano un “Paese messaggio” per la convivenza fra diciotto comunità religiose.
«Il Libano è una profezia che ha al centro il dialogo della vita di cui sono protagonisti persone di buona volontà che non cedono a discorsi malefici. Lo vediamo nelle scuole, comprese le nostre cattoliche, dove studiano fianco a fianco ragazzi di ogni credo. O lo vediamo nei luoghi di lavoro dove cristiani e musulmani condividono il quotidiano. È una falsità sostenere che non si può vivere insieme. I potenti tengano conto della saggezza popolare».
Il Papa chiede ai cristiani di essere costruttori di pace. Come lo sono in Medio Oriente?
«Una parola-chiave che Leone XIV ha utilizzato fin dal primo giorno è “ponte”. Noi cristiani dobbiamo farci ponte: fra le religioni, fra le culture, fra i popoli. Siamo tutti figli dell’unico Dio. Occorrono dialogo, apertura di mente e di cuore, ma anche riconoscimento delle colpe e degli errori. Una purificazione della memoria eviterà alle nuove generazioni di cadere nel tranello del fondamentalismo».
Il logo della visita di papa Leone XIV in Libano lungo le strade di Beirut / ANSA
Il logo della visita di papa Leone XIV in Libano lungo le strade di Beirut / ANSA
Il Papa incontrerà i giovani del Paese che resistono e non fuggono. Come leggere l’appuntamento?
«I ragazzi lo attendono con ansia. Penso si possa già affermare che esiste una “generazione Leone XIV” dedita alla pace e al dialogo».
Il Libano è anche terra di accoglienza: 850mila palestinesi e un milione e mezzo di siriani rifugiati, accanto a una popolazione di 4 milioni di abitanti.
«Tutto ciò non è mai stato un problema. Lo è quando i profughi vengono usati per altri scopi. Aggiungo che una parte dei siriani comincia a rientrare nella propria patria, anche se non c’è ancora una decisione internazionale in merito».
La missione Unifil che presidia il confine del Libano con Israele potrebbe chiudersi. Un rischio?
«Non è un buon segnale. I soldati che si sono alternati nella missione di pace hanno protetto il Paese e hanno portato il Libano nel loro cuore e nelle nazioni da cui provenivano. Il ritiro delle truppe Onu oscurerà ciò che accade nel Sud: nessuno saprà più niente nel mondo. Ci domandiamo a chi gioverà questo vuoto: a Israele che vuole avere mano libera? O agli Stati Uniti che intendono sfruttare le nostre risorse e il petrolio che si trova lungo il litorale?».

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