martedì 21 febbraio 2023
L'educazione alla pace è "l’investimento necessario per una pace preventiva, individuale e collettiva". Lo ha detto il presidente della Cei inaugurando l'anno accademico di Roma Tre
L'intervento del cardinale Zuppi

L'intervento del cardinale Zuppi - M.M.

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L'educazione alla pace è "l’investimento necessario per una pace preventiva, individuale e collettiva". Lo ha detto questa mattina il cardinale Matteo Maria Zuppi, inaugurando con una lectio magistralis proprio sul tema della pace l'anno accademico dell'Università Roma Tre, nel trentennale della sua fondazione.

"Per raggiungere la pace - ha proseguito il presidente della Cei - occorre far evolvere le parti in lotta, uscendo progressivamente da una mentalità militare per abbracciare una mentalità politica, con un linguaggio proprio, credibile, convincente. Occorre accompagnare - ha fatto notare il porporato - la trasformazione della visione dell’altro, da nemico ad avversario con cui discutere e anche contrapporsi, imparando a conviverci, ad ammetterne l’esistenza, fino a costruire una convivenza civile costruita per far convivere le differenze, non per annullarle".

L'arcivescovo di Bologna ha testimoniato che "questo lavoro per così dire pedagogico" è stato per lui "una sfida" vissuta "sia in Mozambico che in Burundi, 16 anni di guerra civile e un milione di vittime nel primo paese e un genocidio nel secondo, anche se più piccolo: e in quest’ultimo Paese ho potuto fare questo lavoro di educazione e costruzione della pace al fianco di quel grande uomo di pace che l’aveva vista e coltivata nell’inferno del carcere che è stato Nelson Mandela".

La guerra invece "si nutre di pregiudizi, di ignoranza, di semplificazione, è prodotta e produce una monocultura, radicata in una scia senza fine di dolori e di torti subiti, da tutti. Si tratta sempre di liberare coscienze imprigionate dai torti subiti e dalle ragioni di questi, dal rancore e dall’odio, incapaci di immaginare e fare pace, convinte dell’impossibilità del dialogo e del negoziato. Questo allora portava a credere che la vittoria militare fosse l’unica unica via d’uscita. È quello che accade anche oggi e sempre, con ogni guerra, anche oggi in Ucraina, in Yemen, in Sud Sudan e ovunque. Serviva passare dal linguaggio della violenza, della propaganda, della criminalizzazione, della giustizia di parte, della deformazione dell’altro, al linguaggio del dialogo, della politica".

Ecco, secondo Zuppi, "l’alternativa alla guerra è la politica, non la soppressione dei contrasti schiacciando l’altro. È la loro composizione attraverso il dialogo. Non c’è pace senza politica. Solo la politica crea un quadro comune, allontana ciò che divide e trova ciò che unisce, rende più umani. E la politica sa e può usare la diplomazia e anche i tanti modi per preparare il terreno, creare l’ambiente favorevole, maturare le convergenze che permettono la pace".

Il cardinale ha detto inoltre di essere rimasto "colpito con preoccupazione" dal fatto che "al Parlamento Europeo una Risoluzione che sollecitava l’apertura di un negoziato sia stata rigettata da 470 voti su 630. Mi è sembrato come un segnale della rinuncia della politica e la negazione di una pace che non sia solo la vittoria di una parte. Attenzione dire questo non significa ovviamente misconoscere il diritto, omologare le responsabilità, negarle. Affatto. Sono due piani diversi e il dialogo richiede sempre la giustizia e la chiarezza perché funzioni, perchè raggiunga il risultato. Ma, appunto, anche la giustizia richiede il dialogo. Questo è il tempo in cui un premier europeo, nella luterana Danimarca, intende abolire il plurisecolare “Grande giorno della preghiera” – che esiste dal 1686 – per potere incrementare il budget per gli armamenti con un giorno di lavoro in più".

"Non è questa l’Europa, l’Europa che nel 2012 ha vinto il premio Nobel per la Pace per il suo “never again”, - ha ammonito il presidente della Cei - cioè il proposito di mai più fare ricorso all’opzione militare dopo la tragedia del secondo conflitto mondiale. Per questo dalle università, dagli studi può e deve nascere una nuova immaginazione e antropologia di pace".

Zuppi ha ricordato la grande stagione del dopoguerra con la costruzione dell'Unione Europea, nata anche come rifiuto della guerra. Oggi, invece, "il ripudio della guerra e della violenza, e l’esercizio di una cultura della pace, sembrano essersi sbiaditi, come il ricordo tragico della Seconda guerra mondiale e della Shoah che ne rappresenta la massima ignominia e crudeltà".

Dunque occorre essere tutti artigiani di pace e da questi nasceranno anche gli architetti di pace. "Molti sono convinti della ineluttabilità della guerra, che accompagnerà sempre il mondo, come fosse un destino scritto nella stessa natura della persona e una storia che non può cambiare", ha denunciato Zuppi.

"Perché dovrebbe essere un destino risolvere le controversie con le armi? Si è sempre fatto così? Restiamo gli stessi? Se c’è un progresso su tutto, tanto che abbiamo realtà impensabili solo pochi anni or sono, possibile che non ci sia un progresso che permetta di dotarsi di organizzazioni internazionali capaci di evitare che le controversie diventino guerre? Themis, la giustizia universale, aveva tre figlie: Irene, la Pace, Eunomia, la legalità e il buon governo e Dike, la giustizia morale, la giustizia del diritto, quella che presiede alle leggi degli uomini. Cercare queste figlie non vuol dire preparare la pace? La pace dipende da me".

Concludendo, il presidente della Cei ha ricordato i tre diritti ricordati dal Papa. Il diritto ad essere liberi dalla paura. Il diritto alla speranza e il diritto alla cultura. Ha ricordato le guerre dimenticate nel Tigrai e del Congo. E infine ha detto: "Educare alla pace è quindi aprire le menti e i cuori all’incontro con l’altro, al dialogo, alla relazione che è fatta di comprensione". Un compito che è proprio dell'Università. Insieme a quello, raccomandato da papa Francesco (richiamato non a caso dal porporato) di non alzare muri.

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