giovedì 20 giugno 2013
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«Ero a pranzo con papa Francesco, il Giovedì Santo, ed ha citato san Francesco, che mandava i suo frati in giro dicendo loro "parlate di Gesù alla gente e, se non ci riuscite, fatelo con le... parole"». Sorride, monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas capitolina, raccontando «la frase che m’è rimasta più impressa di quel pranzo». Che racconta bene come i gesti del Papa «sembrino piccoli, ma siano profondamente significativi» e «rivolti prima di tutto a chi è nelle periferie, a chi ai margini, non soltanto sociali». Gesti «dettati dalla sua fede profonda e non sottintendendo "adesso vi insegno come si fa" – va avanti don Enrico –. A me ha colpito un altro suo gesto, in piazza San Pietro, quando si è fermato ed è andato a salutare una donna in carrozzella, alla quale è caduta la borsetta, che il Papa si è subito chinato a raccogliere»: come a voler dire «io sono attento a te e ai tuoi bisogni». Ecco, il Papa ha grandissima capacità di attenzione all’altro». L’altro giorno Francesco «ci ha ricordato che i poveri li avremo sempre con noi. Ma non intendeva certo che dobbiamo rassegnarci davanti a questo, piuttosto che dobbiamo essere disponibili all’altro, perché avrà sempre bisogno di noi ed è talmente importante da essere messo al primo posto». Ecco, «la periferia, per il Papa, è l’altro – spiega don Enrico –. Non si tratta di prendere l’automobile è andare all’estrema periferia, ma questa stessa è appunto l’altro, il "lontano", ma al quale devo avvicinarmi», il quale «mi muove e mi scuote continuamente». In una sorta di filo conduttore con le parole di Giovanni Paolo II: «L’altro mi appartiene, perché è un membro del corpo di Cristo e non posso pensare a Lui senza pensare all’altro».
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