giovedì 2 febbraio 2023
La celebrazione in occasione della festa della presentazione di Gesù al tempio. Offrire una forma alternativa al modo di abitare questo mondo
Consacrati in piazza San Pietro

Consacrati in piazza San Pietro - Ansa

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La festa liturgica della “Presentazione di Gesù al tempio” è memoria della speciale consacrazione di tanti fratelli e sorelle che hanno fatto della loro vita una offerta gradita a Dio e che, attraverso la loro testimonianza quotidiana, irradiano bellezza sul mondo, rendendo presente l’umanità di Gesù Cristo come principio di cristificazione del mondo e ricapitolazione di tutte le cose in Cristo (Ef 1,9).

Quest’anno celebriamo la XXVII Giornata mondiale della vita consacrata e il Dicastero della vita consacrata e le società di vita apostolica invita a riflettere sul tema: “Sorelle e fratelli per la missione”. L’indicazione è chiara e duplice: offrire una forma alternativa al modo di abitare questo mondo, esposto a molte minacce (dall’essere depredato all’essere martoriato dalle guerre senza fine), perché o ci salviamo tutti o nessuno si salva.

Questo è il progetto nuovo: «Di fronte ai vari modi di eliminare gli altri, si sia capaci di reagire con un nuovo sogno di fraternità e amicizia sociale» (Fratelli tutti 6), pensando e generando un mondo ospitale, una visione inclusiva della vita e delle relazioni; testimoniare che la Chiesa è missionaria prima di fare missione e che ogni forma di discepolato implica l’essere missionario (Evangelii gaudium 120) perché «io sono una missione su questa terra» (Eg 273).

La svolta missionaria della Chiesa esige che i consacrati ritrovino nel cammino il senso stesso della vita: «Tornare a camminare a piedi nudi lungo le strade d’Europa», diceva Davide Maria Turoldo. I consacrati e le consacrate, come testimonia la storia, non hanno mai smesso di camminare; le loro scarpe sono infangate, consumate, impolverate come quelle di Teresa di Gesù, Filippo Neri, Daniele Comboni, Giovanni Bosco, Teresa di Calcutta.

In questo tempo sinodale della Chiesa riprendiamo alcune suggestioni, tentando di aprire strade dimenticate o smarrite nella mappa dell’esodo.

Camminare è esperienza del corpo e dello spirito, è sempre molto di più di un mero spazio stradale, è una grazia ed una necessità, è l’esperienza che maturiamo dal primo momento in cui veniamo al mondo, percorrendo ogni terra, per quanto ostile possa apparire. Camminare è importante, consente di conoscere altre persone, culture e tanta parte di umanità.

Camminare è una grande metafora. Abramo ha iniziato la sua storia e quella di un popolo, camminando: «Alzati, cammina verso la terra che ti mostrerò» (Gen 12,1ss.). Tu cammina, non voltarti indietro, perché solo camminando si apre il cammino. Bisogna andare oltre, abitando bordi, confini, frontiere. Tutti siamo in cammino, parte di una carovana che ci rende fratelli tutti, migranti rispetto a noi stessi e al mondo.

Camminare è scrivere la storia consumando le scarpe, perché senza scarpe consumate non possiamo dire di aver vissuto. I piedi non sono arti ma sono organi di senso attraverso i quali percepiamo la voce della terra e comprendiamo che i pensieri non ci arrivano solo dall’intelletto, ma risalgono dal basso del corpo per insediarsi, poi, nelle caverne della mente e del cuore. Forse per questa ragione Gesù ha voluto lavare i piedi ai suoi amici, consapevole che la Parola si sarebbe diffusa attraverso le fatiche del loro andare: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni» (Mt 28,19; Mt 10,5; Mc 16,15).

Camminare significa armonizzare respiro, battito del cuore e andatura; quando questo accade non siamo più noi che facciamo il viaggio, ma è il viaggio che fa noi. Impariamo a lasciarci vivere, ad avere l’andatura lenta, quella di chi deve andare lontano, di chi deve fare un viaggio dentro, una esperienza del corpo che si riflette sull’anima, sul pensiero, che richiede solitudine interiore.

Camminare è andare verso se stessi: Hagar, la lingua semitica dice che il suo nome significa “la viaggiatrice”, è la donna cercata da Dio nel deserto del mondo, è colei che accetta di fare un cammino verso se stessa e qui, a contatto con la sua fragilità, trovare Dio e l’umano (Gen 16). «Conosci te stesso» è la prima tappa di un percorso di umanizzazione che richiede di non distrarsi, di concentrare le energie, di vivere nella solitudine, apprendendo l’arte di riconoscere la voce di un silenzio (1Re 18-19), che è quella essenziale per fare cammino e incontrare gli altri.

Camminare è discendere nelle proprie caverne (Giovanni della Croce, Fiamma 3,18) dove c’è l’enigma, dove abitano le ombre, dove c’è anche l’inferno, perché potremmo essere abitati dall’inferno. La grammatica di questo cammino nel sottosuolo della vita, spesso, è dimenticata, perché ci sono quasi esclusivamente escursioni di superficie (Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo), perché questa cultura predilige la distrazione, l’informazione continua, internet. È facile scantonare dalla vita (don Lorenzo Milani), oggi come sempre nella vita, ma la vera sfida consiste nell’intraprendere il cammino e accedere alla propria interiorità, per non vivere fuori del proprio “castello” (Santa Teresa di Gesù, Il castello interiore), in un triste gioco che rende il proprio “io” inaccessibile a se stessi, senza alcun varco (Franz Kafka, Il castello).

La Giornata mondiale della vita consacrata ricorda che non sappiamo come andrà a finire questo cammino sinodale, il cammino di questa Chiesa che sentiamo madre e che ogni giorno tentiamo di amare. Il Sinodo, però, già ci insegna a fare viaggi, anche quelli che si compiono in perfetta immobilità, come quelli che fa una contemplativa a partire dalla propria cella, o quelli narrati da un guardiano del faro, perché solo nella mendicanza si possono vedere e registrare una quantità smisurata di cose fuori e dentro.

Perché si può avere tanto da fare in un mondo dove, teoricamente, non succede nulla, semplicemente perché hai scelto di non vivere con internet, ma di usarlo semplicemente, nella condizione di chi vive il distacco dal mondo non semplicemente come distanza fisica dalle cose, ma come distanza dai tanti segnali che disconnettono il vero contatto da se stessi e dalla vita. Solo allora ti accorgi dello straordinario che c’è fuori, cogli il fascino di una bellezza semplicemente spettacolare.

Se poi tutto si silenzia dentro e l’eco infernale del quotidiano tace, apparirà la tua interiorità come il fragore di un fiume, come mareggiata che canta sulla sabbia di una spiaggia, come voce che ti sveglia la notte, come fremito che ti porta a stare sotto un cielo stellato, silente mentre tutto appare chiaro, mentre torni a parlare con te stesso, dialogando con quell’angelo della presenza, riuscendo a vederti dal di fuori e dentro, nella tua interiorità abitata.

Solo allora sarà Sinodo. Quando comprenderai che si può fare un viaggio immobili, perché ogni cammino è solitario, anche quando accade dentro una carovana, trovando l’equilibrio di sé stessi, il bagaglio necessario, quello alleggerito dalla vita, perché il viaggio missionario della vita è metafora di un cammino altro che si fa senza bagagli, soli e vulnerabili. Solo chi ha fa questo cammino gode di una umanità trasfigurata e di una compagnia che non smettono mai di affascinare.

Luigi Gaetani è presidente nazionale della Cism (Conferenza italiana superiori meggiori)

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