martedì 19 novembre 2019
Parla il vice segretario della Conferenza episcopale locale. «Qui anche se i cattolici sono 350mila su 68 milioni di abitanti la loro presenza, dalle scuole alle iniziative Caritas, è sentita»
Francesco in Thailandia è molto popolare anche tra i non cristiani
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«La domanda che mi viene rivolta più frequentemente è: perché il Papa ha deciso di visitare un Paese buddhista dove i cattolici sono soltanto 350mila tra 68 milioni di thailandesi? Credo che la risposta essenziale sia che il Santo Padre è un costruttore di pace e promuove la comprensione nell’umanità. Quindi questo evento sarà importante per comunicare questo messaggio a gente disposta ad ascoltarlo. Inoltre, papa Francesco è una personalità popolare anche tra i non cristiani e la popolazione thailandese ha mostrato di apprezzare il messaggio di tutela del bene comune contenuto nella Laudato si’!». A parlare con entusiasmo dell’ospite in arrivo è monsignor Andrew Vissanu Thanyaanan, vice segretario della Conferenza episcopale cattolica della Thailandia e coordinatore generale della visita.

Quali le motivazioni di questo viaggio apostolico?
Anzitutto, vorrei sottolineare che il Papa visiterà tutti i thailandesi. In un Paese al 96% buddhista, sarà accolto, ne sono certo, con l’ospitalità di cui la popolazione va fiera. In questo senso, è stata concreta la cooperazione tra governo e Chiesa. Anche i non cattolici si sono impegnati per fare della visita un evento da ricordare. Inoltre, il Pontefice è una figura popolare, tra i battezzati ma non solo, e una immagine particolarmente espressiva del Pa- pa può essere significativa più di un milione di parole.

Quali saranno i punti essenziali della visita di Francesco?
Saranno soprattutto tre: le due Messe (quella con gli adulti e quella con i giovani) e l’incontro con i religiosi e accademici. Queste iniziative, ma in generale tutta la preparazione del viaggio hanno visto una partecipazione generosa della popolazione e in particolare di tanti benefattori, sia cattolici, sia buddhisti, come pure del governo. Oltre agli incontri più ufficiali, con sua maestà e il primo ministro, il colloquio con il patriarca supremo sarà focalizzato sul tema del dialogo.

Qual è la situazione attuale del rapporto tra l’esigua minoranza cattolica e la maggioranza buddhista?
Posso confermare che il dialogo interreligioso nel mio Paese è un modello che ha pochi uguali e questo per la tolleranza e la disponibilità all’accoglienza dei thailandesi. Un fattore essenziale che spiega questa apertura, è che la monarchia non ha mai mancato di proteggere tutte le fedi presenti. Si potrebbe dire che godiamo di piena libertà di religione, con mutuo rispetto. La popolazione vive pacificamente nel sostegno reciproco e templi, chiese e moschee possono coesistere fianco a fianco.

In che modo i cattolici contribuiscono alla società thailandese, per molti aspetti impermeabile al messaggio evangelico?
Le nostre scuole e le iniziative sociali della Caritas sono note e di concreto supporto al Paese. I thailandesi non amano imposizioni, ma sanno che portiamo avanti attività che testimoniano il Vangelo, lanciamo di messaggi concreti di testimonianza di vita che sono apprezzati. Tra i thailandesi, molti sono curiosi di sapere chi sia Gesù e molte Chiese preparano catecumeni che possano partecipare ai programmi di iniziazione cristiana per adulti di fede diversa.

Qual è oggi ruolo della Chiesa in Thailandia?
L’arrivo del Papa consolida l’opportunità già offerta dalle celebrazioni dei 350 anni del Vicariato del Siam nel 1699 per guardare alla sua realtà e al futuro. Con questo intendo il rinnovamento del mandato missionario acquisito con il Battesimo di essere portatori della buona notizia agli altri, con sollecitudine. Ci impegniamo a entrare in dialogo con credenti di altre fedi ma occorre farlo nel rispetto per percorrere insieme un cammino di pace e comprensione.

Quali sono le sfide per la Chiesa thailandese?
I cattolici in Thailandia sono una esigua minoranza e di conseguenza i matrimoni con individui di fede diversa sono tutt’altro che rari. Anzi, coinvolgono il 95 per cento dei giovani battezzati. Di conseguenza è una sfida per la Chiesa cercare di educare i nostri giovani a mantenere una fede salda e vivere la famiglia in modo cristiano. Molti purtroppo sono a rischio di perdere la fede a causa delle lusinghe della modernità, di conseguenza, come pastori abbiamo bisogno di un linguaggio aggiornato per comunicare il messaggio evangelico e il senso di essere Chiesa. Io credo che il documento finale del Sinodo per i Giovani sia una buona roadmap per il rinnovamento della Chiesa verso il futuro. La Conferenza episcopale thailandese ha visto nascere al suo interno 40 anni fa la Società missionaria. È interessante vedere come cresca il numero dei giovani candidati alla missione, che si potranno aggiungere ai sacerdoti, religiosi e catechisti in aree rurali della nostra Thailandia e in Paesi vicini come Cambogia, Laos e Taiwan.

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