mercoledì 17 aprile 2024
Il presidente dei vescovi, Di Donna, sulla visita ad limina: «Unire le diocesi, al Papa abbiamo chiesto un confronto. Autonomia differenziata? Rischio per il Sud. Malavita, ombra sul territorio»
I vescovi della Campania durante la visita ad limina con Francesco. Alla destra del Papa, Antonio Di Donna

I vescovi della Campania durante la visita ad limina con Francesco. Alla destra del Papa, Antonio Di Donna - Vatican Media

COMMENTA E CONDIVIDI

Disinquinamento. Degli animi, innanzitutto. Quindi anche dell’ambiente. E vicinanza alla gente, il vero tesoro della Campania. Il vescovo di Acerra e presidente della Conferenza episcopale regionale, Antonio Di Donna, riassume così la visita ad limina che i 23 presuli e i due abati delle Chiese campane hanno svolto la scorsa settimana, incontrando il Papa e i responsabili dei dicasteri della Curia romana. «Ci siamo sentiti confermati dal Papa nella fede e nella speranza – sottolinea –. E alla fine Francesco ci ha detto: “Sento che siete veramente pastori. Avete parlato di cose concrete e siete vicini alla gente”».

Qual è stato il focus della visita?
Abbiamo potuto confrontarci con Francesco sulle sfide che pone oggi l’annuncio del Vangelo. A partire dalla necessità di ripensare linguaggio, metodo e strutture di questo annuncio. La nostra gente è sì religiosa, continua a chiedere i sacramenti e la religiosità popolare è viva. Ma spesso si tratta di una fede di consuetudine, non fondata su libere motivazioni personali. E allora la sfida principale è proprio questa. Passare a una fede più responsabile, richiesta dai tempi nuovi.

Che cosa vi ha detto il Papa?
Innanzitutto ci ha chiesto quali sono in Campania gli ostacoli che si frappongono alla promozione della dignità umana. E questo ci ha spinto a parlare delle luci e delle ombre del nostro contesto culturale. Tra le prime la criminalità organizzata ancora diffusa, non solo quella che spara, ma anche quella dei colletti bianchi, della grande finanza, della collusione politica. E poi la mancanza di lavoro, lo sfruttamento, lo scarso senso civico, la sfiducia verso le istituzioni. Vecchie povertà cui se ne aggiungono di nuove: l’inquinamento ambientale, lo spopolamento delle zone interne della regione, lo smantellamento del sistema sanitario con molta gente che rinuncia a curarsi oppure che, per avere una visita o un esame diagnostico, deve aspettare tanto tempo. E infine questo progetto di legge sull’autonomia differenziata che, se fosse approvato, danneggerebbe tutto il Sud.

E le luci?
Bisogna partire dai valori tipici del Meridione, la cordialità, la solarità. “Per voi del Sud – ci è stato detto durante la visita ad limina – la grande risorsa è la gente”. Ma dobbiamo fare molto di più. Forse c’è un deficit di profezia. La catechesi e la predicazione devono incidere sui modelli culturali. C’è una scarsa conoscenza della dottrina sociale della Chiesa e poi l’irrilevanza dei cattolici in politica, anche se loro lamentano che noi non li accompagniamo abbastanza e forse hanno anche ragione. Soprattutto tra le luci metterei l’impegno della Chiesa campana nella carità, con i volontari, i centri di ascolto, le opere segno, il cammino che stiamo facendo per la custodia del Creato. E poi l’accoglienza dei migranti, il patto educativo tra le istituzioni per contrastare il fenomeno della dispersione scolastica. E l’attenzione allo spopolamento delle aree interne. Abbiamo anche un buon dialogo con la Regione, per intese sul contrasto alla povertà e tra poco ci sarà anche una legge regionale sulla famiglia.

Lei accennava allo spopolamento delle aree interne. Che cosa è emerso?
Il Papa ha parlato della crisi demografica, ma legata a questo tema, proprio perché è la gente la nostra risorsa più grande, ho consegnato al Santo Padre una lettera (condivisa con la maggior parte dei vescovi campani), con alcune riserve sull’unione delle diocesi in persona episcopi, chiedendo un supplemento di riflessione dal punto di vista ecclesiologico, canonistico e pastorale.

Perché dice che il tema è connesso a quello dello spopolamento?
Si dice che le diocesi in Italia siano troppe, ma troppe in relazione a che cosa? Invece noi registriamo che le zone su cui insistono le piccole diocesi vivono un disagio forte. Molti dicono: “Ci tolgono l’ospedale, il tribunale, le scuole. Ve ne andate anche voi?”. Soprattutto è la figura del vescovo che viene messa in crisi perché, se si afferma che il vescovo deve essere vicino alla gente e ai preti che sempre più chiedono oggi di essere accompagnati con le loro fragilità, com’è possibile fare questo con l’unione di più diocesi? Sarà un amministratore di una grande realtà, ma perderà il contatto con la gente e con i preti. Ecco, ci piacerebbe che un simile tema fosse oggetto di discernimento sinodale. In modo da offrire anche delle alternative. Ad esempio, la collaborazione tra diocesi vicine, tramite la messa in comune di strutture come il tribunale, l’Istituto per il sostentamento del clero, la formazione dei sacerdoti. Inoltre si potrebbero valorizzare le metropolie. L’ultima operazione di accorpamento delle diocesi avvenne nel 1986. Perché non si fa una verifica di quanto è avvenuto nel frattempo nelle diocesi unite?

A proposito di rapporto con il territorio, lei accennava all’autonomia differenziata. Qual è il pensiero dei vescovi campani al riguardo?
La proposta di legge danneggia le regioni più deboli, che per lo più sono quelle meridionali, ma non solo. Perché non esiste una contrapposizione tra Nord ricco e Sud povero. È vero che la Costituzione prevede una certa autonomia delle regioni, ma dice anche che l’Italia è unica e indivisibile. I vescovi hanno sempre sottolineato che il Paese non crescerà se non insieme. Invece con questa legge si va verso un “Paese arlecchino”, o come ha detto il sociologo Gianfranco Viesti, il rischio è quello di una secessione dei ricchi. La nostra proposta è invece quella di un federalismo solidale che coniughi insieme i principi della sussidiarietà e della solidarietà. Ma su questo si esprimerà a breve la Cei con un documento unitario.

In definitiva che cosa bisogna fare per restituire alla Campania l’appellativo di “felix”?
Si tratta di disinquinare non solo i terreni, ma anche gli animi. Grazie a Dio, abbiamo oggi la sicurezza che l’inquinamento dei terreni riguarda solo il due per cento del territorio interessato, la cosiddetta terra dei fuochi. Il problema però è l’aria, anche se i roghi tossici ormai da due anni stanno diminuendo. Resta un’aria malata e questo incide sull’alto tasso tumorale. Dal dramma ambientale se ne esce solo insieme. Ricordando che è un problema che investe tutta l’Italia, dato che ci sono almeno 50 siti gravemente inquinati anche al nord e al centro. Quanto alla criminalità che si ramifica come una piovra, stiamo cercando di purificare anche una certa religiosità che risente di questo cancro. Ma dobbiamo incidere di più con la catechesi e la predicazione, smascherando la visione antropologica malata che c’è dietro la criminalità. Siamo bravissimi nella carità. Bisogna coniugare carità e giustizia.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI