lunedì 26 gennaio 2009
È il 25 gennaio 1959: in San Paolo fuori le Mura, chiudendo la Settimana per l’unità dei cristiani, Roncalli comunica la volontà di indire un «Concilio ecumenico per la Chiesa universale». Non casuale la scelta della data, spiega l’ex segretario Capovilla: «Costante, in lui, l’anelito all’unità»
COMMENTA E CONDIVIDI
Era domenica, come oggi, il 25 gennaio 1959, mezzo secolo fa. In quel giorno a Roma, nel monastero attiguo alla Basilica di San Paolo fuori le Mura, Giovanni XXIII annunciava il suo Concilio a una dozzina di cardinali presenti alla chiusura della Settimana per l’unità dei cristiani. Per la verità la notizia arrivò al mondo prima che a quei porporati. Infatti, dopo la Messa celebrata dall’abate e l’omelia papale, Giovanni XXIII varcava la soglia dell’aula capitolare per la sua comunicazione mentre era già passato mezzogiorno, l’ora in cui - per i vaticanisti - cessava l’embargo dell’annuncio. E fu una sorpresa assoluta. Tranne che per i più stretti collaboratori del pontefice: fra questi il segretario particolare Loris Francesco Capovilla che abbiamo incontrato a Ca’ Maitino, nel paese natale di Giovanni XXIII, a Sotto il Monte (Bergamo). L’arcivescovo Capovilla , novantatré anni compiuti lo scorso ottobre, reduce da un «Anno giovanneo» che l’ha impegnato parecchio ma sempre in buona forma, ricorda: «Me ne aveva accennato già il 30 ottobre, subito dopo l’elezione; poi il 2 novembre rammento un altro richiamo mentre riceveva i cardinali , durante l’udienza con Ruffini, e anche successivamente, quasi invitandomi a superare le titubanze che aveva percepito in me, esortandomi a non fare troppi calcoli e a mettere il mio "io" sotto i piedi per essere libero. Poi ne aveva parlato compiutamente il 15 e il 20 gennaio - rimanendone confortato - con il segretario di Stato vaticano Domenico Tardini, con il sostituto monsignor Angelo dell’Acqua, il suo confessore Alfredo Cavagna... Qualcosa aveva lasciato trapelare in udienze con antichi amici en passant  chiedendo loro il segreto - penso a don Giovanni Rossi. Ma appena prima dell’annuncio erano stati informati anche Ottaviani, Confalonieri e altri cardinali presenti a San Paolo...». Già... Quelli che ebbero come reazione un impressionante devoto silenzio, parole dette dal Papa nel 1962... «Ma che poi, singolarmente nelle udienze - continua Capovilla - gli riferirono di non aver trovato parole per manifestare il giubilo e l’obbedienza illimitata - e anche queste sono parole di Giovanni XXIII. Non si dimentichi che il papa non aveva chiesto un consenso, poteva essere un silenzio meditativo. In ogni caso non enfatizzerei né circa entusiasmi, né su freddezze immediate. Quel Concilio era - come dire? - nell’ordine delle cose; nello stesso Codice di diritto canonico c’era un capitolo apposito sul Concilio, uno strumento che sta dentro la dinamica della storia della Chiesa». Torniamo al 25 gennaio. Perché quel giorno? Per l’ex segretario del pontefice, «Roncalli sin dai tempi in cui era patriarca di Venezia aveva favorito l’ottavario per l’unità; la preghiera che si faceva in San Zaccaria era qualcosa di sentito in modo profondo... L’anelito all’unità dei cristiani se lo portava dentro dai tempi della Bulgaria (dove fu visitatore apostolico dal 1925 al 1934, ndr), dei primi incontri con gli ortodossi. Ad un vecchio armeno che in quegli anni gli aveva chiesto cosa pensasse della disunione, aveva persino baciato le mani e - al ritorno da una visita al Papa - portato una medaglia e un’offerta di Pio XI. L’unità delle Chiese in Cristo era un desiderio forte in lui... E non è questo uno degli obiettivi del Concilio?». Chiediamo a Capovilla: quali influenze possono avere avuto sull’idea della convocazione i suggerimenti che cardinali come Ruffini o Ottaviani affermarono di aver dato al Papa al momento dell’elezione, o i progetti di Pio XI e di Pio XII, o le memorie di monsignor Celso Costantini del 1939 «Sulla convenienza di convocare un Concilio Ecumenico» o altri scritti che l’auspicavano? Capovilla è convinto di un’idea propria di Giovanni XXIII. «Pio XI riconobbe che dei due problemi - il Concilio Vaticano I sospeso e la "questione romana" - il secondo dovesse essere risolto prima, invitando i vescovi a Roma avrebbe dato l’idea di una situazione normale...». E «le memorie di Costantini il Papa non le aveva ancora lette e così altri dossier». Dunque: «Non trovo un collegamento diretto. C’è invece alla base la spinta del cumulo dei problemi da risolvere collegialmente...». E c’è la testimonianza di Giovanni XXIII che parla di un’ispirazione... Capovilla si alza, va alla sua scrivania e torna con un foglio di Paolo VI. Parole pronunciate il 29 settembre 1963. Le scandisce a voce alta. Ripete con papa Montini che per una «divina ispirazione» Roncalli volle il Concilio e - continua, leggendo la citazione - «non sollecitato da alcun terreno stimolo, da alcuna particolare cogente circostanza, ma quasi divinando i consigli celesti e penetrando negli oscuri e tormentati bisogni dell’età moderna». Di citazioni ad hoc che si prepara ad inanellare ne ha una catena: papa Luciani, papa Wojtyla, papa Ratzinger... «Sì, mettendole una accanto all’altra balza all’occhio una continuità, che è nel solco della ininterrotta tradizione...», afferma Capovilla. Continuità: sino a che punto? «Il fine di papa Giovanni, usando il Concilio come mezzo, restava il bonum animarum quello di sempre, si capisce corrispondendo alle esigenze del periodo: rivedere come dare con parole nuove lo stesso patrimonio di sempre, riconoscendo - come disse il 25 gennaio - il valore di forme antiche di affermazione dottrinale e di saggi ordinamenti di ecclesiastica disciplina». Quanto al resto Capovilla concorda con la testimonianza di Dell’Acqua per il quale papa Roncalli «mai pensò di aprire e chiudere il Concilio ecumenico» perché, diceva, «quello che importa è accogliere la buona ispirazione e cominciare: il resto lasciamolo al Signore». E quando chiediamo a monsignor Loris di chiudere gli occhi e di fermarsi su un’immagine di quel giorno di  cinquant’anni fa, dice: «Penso al ritorno in Vaticano, subito dopo l’annuncio in quella giornata per la quale sull’agenda il papa scrisse "Tutto ben riuscito" e "Mantenni la mia continua comunicazione con Dio". Anche in macchina, a me che gli chiedevo "Santo Padre, come vi sentite?" rispose: "Come vuoi che mi senta... È il Signore che fa". Così come non si deprimeva, neppure mai si esaltava. Era uno dei suoi doni: il suo grande equilibrio».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: