domenica 25 giugno 2017
Il cardinale vicario traccia un bilancio a pochi giorni dalla fine del suo mandato: la comunità ecclesiale è ricca di risorse vivaci e creative
Papa Francesco nella Basilica Laterana mentre incontra il cardinale Agostino Vallini (Foto d'archivio Siciliani)

Papa Francesco nella Basilica Laterana mentre incontra il cardinale Agostino Vallini (Foto d'archivio Siciliani)

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Serenità. La si legge a prima vista sul volto del cardinale Agostino Vallini. E man mano che affiorano i ricordi dei nove anni da vicario di due Papi (Benedetto XVI e Francesco) per la diocesi di Roma, quell'impressione aumenta. «Sì – dice il porporato mentre risponde alle domande di Avvenire – confermo alla fine del mio mandato (dal 29 giugno al suo posto ci sarà monsignor Angelo De Donatis, ndr) ciò che ho detto lunedì scorso al Papa, all’inizio del Convegno diocesano. Profonda gratitudine per la fiducia che mi è stata accordata, da papa Benedetto prima e confermata poi da papa Francesco. E serenità, appunto, perché in questo mio congedo mi tornano in mente le parole del Santo Padre nell’omelia di Santa Marta del 30 maggio scorso: bisogna servire il Signore senza vantarsi, non cedere ai compromessi, continuare il cammino che Dio vorrà».

Ripercorrendo questi nove anni, qual è stato il momento più bello e quello meno bello.

Ho vissuto tanti momenti belli e fecondi per i quali ringrazio il Signore. Ad esempio, ricordo le ordinazioni che ho conferito: episcopali, sacerdotali e diaconali. Ho vissuto quei momenti come speciali esperienze di grazia che il Signore faceva alla sua Chiesa nei quali la mia persona aveva una parte attiva. Ricordo poi le confidenze di tante persone che mi hanno chiesto di aiutarle ad incontrare Cristo o ad amarlo di più. E poi la gioia della vicinanza di tanti poveri che ho potuto accogliere, ascoltare, consolare, aiutare. La vita di un vescovo è veramente bella, anche se molto impegnativa. Ho vissuto anche momenti più difficili e sofferti, come quelli in cui mi sono visto impotente a risolvere, nonostante il desiderio e l’impegno, problemi di sofferenza e talvolta di disperazione di chi si rivolgeva a me e implorava aiuto.

Tra i diversi momenti viene da pensare alla rinuncia di Benedetto XVI. Quali furono i suoi sentimenti in quel momento?

Accolsi la notizia con sgomento, al pari di tutti i cardinali presenti in Concistoro. Ma poi, riflettendo sulla portata di quella decisione, ammirai la fede del Papa, il coraggio e il suo amore alla Chiesa. È stata un’esperienza veramente forte e feconda con cui sono stato confermato come si deve amare e servire la Chiesa.

Poi l’elezione di Francesco, che subito l’ha voluta accanto a sé. Come è stato il vostro rapporto?

Ho vissuto quell’invito, assolutamente inaspettato, con sorpresa e commozione. Il Papa fin da quei primi momenti è stato molto buono con me, mostrandomi la sua fiducia. Il nostro rapporto è stato ed è per me molto bello ed arricchente. Gli sono grato, ritenendo una grazia aver potuto lavorare al suo fianco nel servizio alla Chiesa di Roma.

Il Papa ha detto che lei con la sua concretezza l’ha spesso riportato a terra. Si riconosce in questo 'ritratto'?

Ma no (sorride). Il Santo Padre ha voluto scherzare e dire più di quello che merito. Posso dire soltanto che, mosso dall’amore per lui e per la Chiesa, ho sempre esposto con franchezza il mio punto di vista sui diversi argomenti che di volta in volta abbiamo trattato, sottomettendo naturalmente al suo discernimento il mio parere.

Dopo questi nove anni come definirebbe in sintesi la diocesi di Roma?

Roma è una città assai complessa, una metropoli multietnica, con visioni culturali e stili di vita differenti, in un contesto di relativismo pragmatico nel quale purtroppo si è perso il senso di comunità. I persistenti disagi sono evidenti, in una congiuntura di crisi economica lunga, che ha generato sofferenze, tensioni sociali e sfiducia nelle istituzioni. In tutto ciò la Chiesa si sente coinvolta pienamente, facendosi come può buona samaritana accanto a chi soffre. Il progetto pastorale diocesano di questi anni ha avuto come obiettivi di riproporre la fede e il Vangelo quale luce per la vita e risposta di senso alle grandi domande dell’esistenza umana, di rinvigorire la vita ecclesiale e di renderla più dinamica e incisiva dinanzi alle sfide culturali e sociali, testimoniando la carità. Posso attestare che la comunità ecclesiale è ricca di risorse vivaci e creative ed è impegnata in questa direzione, con migliaia di operatori pastorali. Tutto ciò fa bene sperare per l’avvenire.

Quali invece gli aspetti su cui lavorare di più in futuro?

A me pare che l’ambito pastorale in cui è necessario sviluppare ed accompagnare una pastorale più organica e capillare sia quello della famiglia, sul quale - in verità - siamo già impegnati da anni, ma bisogna fare di più. L’Amoris laetitia ha messo al centro della riflessione pastorale l’esigenza che la Chiesa annunci con rinnovato impegno il Vangelo del matrimonio e della famiglia. È urgente promuovere un’azione capace di 'accogliere, accompagnare, discernere e integrare' le famiglie. La pastorale tradizionale è insufficiente. Bisogna ripartire dalla formazione alla vita affettiva fin dall’adolescenza, accompagnare con itinerari adeguati la preparazione al matrimonio e la vita delle famiglie e dedicare attenzione alle tante famiglie che vivono ai margini della vita ecclesiale. Il Papa ci incoraggia a non riproporre soltanto la dottrina cattolica sul matrimonio e la famiglia, che resta immutata, ma ad orientare e spingere verso un agire pastorale che miri a far sentire a tutte le famiglie, anche quelle 'ferite', oggi lontane, che sono Chiesa.

Qual è stata a Roma l’eredità del Giubileo della Misericordia?

È stato un anno molto intenso, soprattutto sul piano spirituale e pastorale, con tanti impegni, incontri, celebrazioni. Il Giubileo ci ha aiutato a motivare e rafforzare la vita delle comunità e ne vediamo anche i frutti. Naturalmente bisogna continuare per non disperdere quanto è stato seminato.

La città non attraversa un gran momento. Da un lato Mafia Capitale ha scoperchiato corruzione e malaffare. Dall’altro l’azione amministrativa sembra segnare il passo. È preoccupato? E quali suggerimenti ha per uscire dalla crisi?

Sono preoccupato e addolorato. I segni della fatica e della crisi in tanti settori della città sono evidenti e la conseguenza è la crescente disaffezione dalla politica. Tuttavia starei attento ad attribuire tutta la responsabilità alle Istituzioni. Costruire il bene comune è impegno di tutti. Questo principio talvolta sembra dimenticato, praticando la cultura dello scaricabarile. Se ogni cittadino si impegnasse a fare la sua parte, tante cose andrebbero meglio. Detto questo, la classe politica certo ha le sue responsabilità, ma essa - non dimentichiamolo - è espressione della società. Ed allora che fare? Io ripartirei ancora dalla famiglia. Se le famiglie stanno bene, tutto cambia. La politica invece, sia nazionale che cittadina, mi sembra di fatto latitante su questo punto. Ogni tanto si sente parlare di proposte di provvedimenti, ma poi si conclude poco. Dare stabilità alle famiglie con politiche che incoraggino i giovani a sposarsi, alle giovani famiglie con aiuti alla maternità, con asili nido, sostegno concreto alle famiglie provate da disabilità e con anziani, significherebbe dimostrare nei fatti che la vita delle persone sta a cuore alle Istituzioni. La famiglia è la cellula primaria di una società sana e se la gente vive in condizioni più serene, le ricadute sulla vita complessiva delle città si vedono. Negli incontri con le Autorità non ho mancato mai di chiedere attenzione e interventi a favore delle fasce più deboli di cittadini e tra queste oggi certamente ci sono tante famiglie. Naturalmente esistono anche tanti altri ambiti della vita cittadina che meriterebbero di essere regolati secondo giustizia ed equità.

Infine: al suo successore, monsignor De Donatis, che cosa consiglia? Monsignor De Donatis ha tanta esperienza e saggezza che non ha bisogno dei miei consigli. È un prete romano, conosce bene la Chiesa e la città con i suoi bisogni. Se un consiglio posso permettermi di dargli è che sia sempre se stesso.

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