sabato 21 maggio 2022
Presentato il volume “Generare relazioni di comunità nell’era digitale”, frutto del lavoro di ricerca multidisciplinare realizzato dall’Università Cattolica di Milano
La presentazione dell'indagine su parrocchie e strumenti digitali all'Università Cattolica

La presentazione dell'indagine su parrocchie e strumenti digitali all'Università Cattolica - Collaboratori

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Tra le realtà che la pandemia ha messo a dura prova vi è certamente la vita delle parrocchie, uno dei luoghi privilegiati della relazione. Eppure quello che poteva trasformarsi in un colpo mortale per questa realtà, ha spinto le comunità a mettere in campo azioni di vera e propria resilienza, che hanno cercato di salvaguardare i rapporti umani utilizzando gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione.

A fotografare questo cammino è il volume “Generare relazioni di comunità nell’era digitale”, frutto del lavoro di ricerca multidisciplinare realizzato dall’Università Cattolica di Milano e coordinato dalla professoressa Lucia Boccacin, ordinario di sociologia dei processi culturali. Una ricerca, a dire il vero, «iniziata prima che all’orizzonte facesse la sua comparsa la pandemia – spiega la coordinatrice –, tanto che nel triennio di lavoro abbiamo voluto indagare anche come l’approccio delle parrocchie è cambiato nei confronti della tecnologia nella pastorale».

Come è emerso negli interventi di presentazione della ricerca ieri mattina in Cattolica, la pandemia è stata un elemento di accelerazione nell’uso del digitale, anche se «non siamo ancora arrivati a una piena cittadinanza di questi strumenti nel creare relazioni». Forte è invece la consapevolezza che «non si tornerà alla normalità di prima della pandemia e che alcuni elementi dell’emergenza che abbiamo vissuto resteranno patrimonio comune».

«In parte – commenta Pier Cesare Rivoltella, direttore del Cremit (Centro di ricerca sull’educazione ai media all’Innovazione e alla tecnologia) della Cattolica – ha almeno permesso di guardare a questi strumenti con meno sospetto o pregiudizio che caratterizzava la situazione precedente. Certo oggi la sfida per le parrocchie è quello di usare questi mezzi mettendo da parte preoccupazioni preconcette». Necessario dunque «un atteggiamento direi irriverente nei confronti dell’uso della tecnologia».

Un percorso il cui traguardo finale appare al momento ancora distante, come hanno dimostrato le relazioni del professor Camillo Regaglia (che ha affrontato la prospettiva psicologica della ricerca), della professoressa Donatella Bramati (che è intervenuta sul lato sociologico) e della professoressa Chiara Paolino (che ha affrontato le implicazioni dalla prospettiva organizzativa delle realtà parrocchiali).

Di fatto, ha spiegato la coordinatrice, la ricerca (che ha interessato 420 parrocchie italiane, per il 68% collocate nel Nord, per il 15,2% nel Centro e per il 16,7% nel Sud), evidenzia «tre tipi di comunità attivi nelle parrocchie: comunità di attaccamento nel quale il digitale è usato solo per trasferire informazioni, ma non per uso pastorale; comunità generative di capitale sociale, nelle quali l’uso degli strumenti è per rafforzare legami di appartenenza; e comunità di luogo con un uso più spiccato degli strumenti digitali».

A commentare la fotografia emersa dalla ricerca sono stati monsignor Luca Bressan vicario episcopale per la cultura dell’arcidiocesi di Milano, e Mario Morcellini, direttore dell’Alta scuola di comunicazione e media digitali della Sapienza di Roma. «Nella pandemia – ha commentato monsignor Bressan – si è vissuta l’assenza dei fedeli e i preti si sono ingegnati come hanno potuto per restare loro vicini. Eppure non tutto questo impegno è stato percepito come azione della Chiesa. Un esempio? In alcune indagini la Chiesa pare aver fatto poco nella pandemia, ma c’è grande appezzamento per la Caritas. Ma non è forse sempre Chiesa?. Ma credo anche nelle potenzialità che un momento critico come questo può offrirci».

Sulla stessa linea anche Morcellini, che sottolinea maggiormente gli aspetti positivi che i dati restituiscono. «Gli italiani hanno messo in capo una notevole resilienza – commenta l’esperto di comunicazioni – e soprattutto i giovani hanno avuto una funzione di traino per le comunità, anche parrocchiali, nell’approccio agli strumenti digitali». Insomma un cambio di passo “costretto” dagli eventi. La vera sfida – su cui si gioca anche il futuro delle parrocchie – è prendere il buono che ne è scaturito per continuare ad essere capaci di generare relazioni.

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