martedì 23 gennaio 2018
Il filosofo: «Ha ragione il cardinale Bassetti: la vita non si difende in astratto, ma nelle vite delle singole persone»
Natoli: «Spetta alla società civile passare all'azione»
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«Ha ragione il cardinale Bassetti: la vita non si difende in astratto, ma nelle vite delle singole persone – afferma il filosofo Salvatore Natoli –. Ma il problema sta proprio in questo passaggio dal principio generale al caso particolare. È giusto che la Chiesa indichi il metodo, sta poi alla società civile trovare il modo di applicarlo». Da sempre interlocutore appassionato del mondo cattolico, specie sui temi della sofferenza e del male (alla metà degli anni Ottanta un suo importante saggio, L’esperienza del dolore, lo trasformò in interlocutore del cardinale Martini in una celebre edizione della Cattedra dei non credenti), Natoli ha seguito con attenzione la prolusione del presidente della Cei. «Mi colpisce, tra l’altro, il richiamo ad autori e argomentazioni che ci riportano alla stagione del Concilio Vaticano II – osserva –. Il pensiero di Romano Guardini sulla crisi della modernità, per esempio, ma anche le frequenti citazioni dal magistero di Paolo VI, un Papa di cui ho sempre amato l’attitudine ma- linconica e insieme ottimista nei confronti dell’attualità ».

Da dove nasce questo malinconico ottimismo?
Dalla difficoltà di passare dal principio alla pratica, appunto. Prenda i tre verbi su cui si regge la riflessione del cardinale Bassetti: ricostruire, ricucire, pianificare. Azioni oggi più necessarie che mai, che per essere compiute in modo efficace devono misurarsi in profondità con la natura drammatica del conflitto.

A che cosa si riferisce?
Al fatto che, all’origine di ogni divisione, troviamo la tendenza a far prevalere l’interesse personale sul bene della comunità. Lo sappiamo, certo, ma non sempre riusciamo a comprendere quali siano gli strumenti più adatti per giungere alla riduzione di questo egoismo, di questo eccessivo amore di sé che produce distruzione, frammentazione, lacerazione. La tradizione filosofica indica una duplice strada, che mi pare possa risultare molto efficace per la traduzione pratica dei princìpi indicati dalla Chiesa.

Di che cosa si tratta?
C’è un primo elemento, direi quasi istintivo, che è opportuno assecondare: noi tutti, infatti, intuiamo che o si vive di legami oppure ci si perde. Una volta infranto il legame, l’altro ci diventa indifferente, nel migliore dei casi. Nel peggiore, ci appare come un ostacolo, uno scarto da eliminare. Sono gli atteggiamenti che portano alla dissoluzione di una società e che possono essere contrastati soltanto sforzandosi di fare un passo ulteriore, che va al di là del riconoscimento del legame come fatto naturale e naturalmente positivo. Di per sé, lo ripeto, il legame non è sufficiente, bisogna fare qualcosa per coltivarlo e perfezionarlo. È questo il senso profondo della formula homo homini deus, coniata da Spinoza: ciascuno di noi è chiamato a farsi per l’altro occasione e strumento di salvezza, in una prospettiva di generosità che sopravanza di molto le regole della pacifica convivenza.

Ed è per questo che la vita si difende difendendo le vite?
Non sopportando che la vita sia offesa, come avrebbe detto Theodor Adorno. Nella prolusione, non a caso, il cardinale Bassetti torna a soffermarsi sulla tragedia dei migranti nel Mediterraneo, alle immagini terribili di quei corpi abbandonati al mare, di quelle morti. La vita va presa in custodia dove è più esposta, indifesa, precaria.

Ma a chi spetta governare il passaggio dal principio all’azione?
Qui ci spostiamo in una dimensione politica o, per essere più precisi, pre-politica. Siamo nel territorio del dibattito pubblico, della responsabilità civile che prelude alla rappresentanza propriamente intesa. La vivacità dell’etica applicata si esprime attraverso una serie molto ricca di agenzie e di soluzioni, che negli ultimi decenni hanno subìto modificazioni profonde. Anche per il contributo della rete, lo spazio pubblico si è ampliato e modificato. La Chiesa, saggiamente, sta tenendo conto di questi cambiamenti, affiancando alle forme di prossimità che le sono proprie (le parrocchie, le associazioni) una presenza sempre più incisiva nei nuovi luoghi del dibattito e del confronto. Sono i contesti in cui occorre intervenire con più forza, anche per fare in modo che la rappresentanza politica torni ad avere una rilevanza adeguata.

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