sabato 27 ottobre 2012
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«Il Sinodo ha mostrato il volto di una Chiesa viva, caratterizzata da una consonanza di fondo sulle prospettive fondamentali, ma sempre vivace e ricca di particolarità. Una Chiesa che ha manifestato il coraggio di testimoniare la fede anche nelle situazioni e nei contesti più difficili». Il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze dopo una lunga esperienza nei vertici Cei, è particolarmente contento dell’esperienza maturata nell’assise che si chiude domani con la solenne concelebrazione eucaristica in San Pietro presieduta da Benedetto XVI. <+corsivo>Avvenire<+tondo> lo incontra dopo che, da presidente della Commissione che l’ha preparato, ha presentato il Messaggio del Sinodo al popolo di Dio. «Il Sinodo – racconta il porporato – ha ribadito la convinzione di fede che è fondamentale per approcciare qualsiasi problema e tanto più quello della nuova evangelizzazione, è cioè che Gesù Cristo è risorto, è vivo nella Sua Chiesa e nel mondo e attraverso il suo Spirito guida la storia degli uomini. Quindi possiamo anche preoccuparci ma non possiamo aver paura. Dobbiamo essere consapevoli delle sfide, ma non possiamo lasciarci schiacciare da esse. Significherebbe venir meno alla fede nel Signore».Quindi non si tratta di essere ottimisti o pessimisti?Certo, queste categorie sono estranee al sentire ecclesiale. Aver fede e speranza, o non aver fede, questa è la vera alternativa. E devo dire che quelle che abbiamo ascoltato al Sinodo sono testimonianze che non solo ci rendono sicuri del fondamento che è Cristo, ma anche consolati dalle tante esperienze positive di Chiesa che si possono incontrare da noi e nel mondo.Il Sinodo però è importante non solo per i contenuti, ma anche per la metodologia di svolgimento...Infatti. I lavori sono basati fondamentalmente sull’ascolto reciproco, e il primo ad ascoltare è il Papa con grande edificazione nostra. Questo ascolto reciproco ha il fine non di far prevalere un’opinione che prevalga su un’altra, ma di creare un consenso che sia la sintesi di tutte le prospettive e le esperienze portate. In questo senso il metodo comunionale-sinodale è molto più vantaggioso del metodo democratico dove il consenso è basato su una maggioranza e una minoranza, di vincitori e vinti, ed è quindi inevitabile che quello che si fa non è quello che vogliono tutti. Mentre qui quello che si raggiunge è la sintesi di qualcosa che è stato costruito attraverso l’apporto di tutti, e che quindi ciascuno sente proprio. Questa è la forza della Chiesa.Quindi è fuori strada chi reclama più democrazia nella Chiesa?La comunione nella Chiesa è un vincolo molto più forte e produttivo della democrazia, che invece conserva la sua funzione - ovviamente - per il governo della società.Tornando al tema della nuova evangelizzazione, qual è il messaggio che viene dal Sinodo?L’evangelizzazione è nella identità della Chiesa e ha tre facce. La prima è quella verso coloro che non conoscono Cristo, poi viene la cura pastorale di coloro che hanno già aderito al Vangelo e quindi c’è la nuova evangelizzazione per chi ha ricevuto il primo annuncio e lo ha assopito nella propria vita. Il Sinodo ci ha mostrato che questa tripartizione non divide il mondo dal punto di vista geografico ma penetra tutti i luoghi. Ad esempio, anche in Europa, anche in Italia, anche nella mia Firenze ci sono degli ambiti in cui è tornato ad essere necessario il primo annuncio. Mentre ci sono realtà del terzo mondo in cui è già tempo di lavorare ad una nuova evangelizzazione. Ma un messaggio importante che proviene dal Sinodo riguarda anche i soggetti principali dell’evangelizzazione.E cioè?Sono due. Da una parte la famiglia, realtà in crisi ma irrinunciabile per l’evangelizzazione e l’educazione alla fede. O noi lavoriamo per riconquistare la famiglia alla fede o il nostro impegno per la nuova evangelizzazione sarà sempre una rincorsa affannosa.E dall’altra?La parrocchia. Una Chiesa legata ad un territorio, una Chiesa che sta con la vita ordinaria delle persone è una realtà molto viva dappertutto. Ci sono state testimonianze in tal senso dalla Scandinavia all’Africa.Quindi la nuova evangelizzazione non può che passare se non attraverso la famiglia e la parrocchia...Questi sono i fondamentali, irrinunciabili. La parrocchia a sua volta deve essere capace di articolarsi in piccole comunità ed integrarsi con altre esperienze pastorali come quelle dei movimenti ecclesiali. Senza contare che le parrocchie, quando necessario, possono collegarsi tra loro senza perdere la propria identità.A livello mediatico si è parlato di Sinodo in riferimento al tema della pastorale dei divorziati risposati. Si preannunciano novità?Al Sinodo ci si è attenuti a quanto detto dal Papa all’Incontro mondiale delle famiglie di Milano. I divorziati risposati fanno parte a pieno titolo della Chiesa ma non si prevedono cambiamenti nella disciplina ecclesiale che non è un’invenzione della Chiesa, ma l’adesione ai Comandamenti di Gesù.Eminenza, lei nel suo intervento in Aula ha affrontato un tema, quello del del rapporto tra fede e cultura, particolarmente caro alla Chiesa italiana...Riprendendo un tema caro all’allora cardinal Joseph Ratzinger, a sua volta debitore di Basilio il Grande, ho ricordato che il Vangelo è un’incisione nella cultura che la rende fruibile alla verità e all’uomo. Il Vangelo insomma non si appoggia né si riveste di una cultura, sono questi gli errori di un certo tipo di inculturazione. Il Vangelo «incide» sulle culture e non le lascia come erano prima. A volte questo provoca fratture e dolore, ma porta la verità.
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