mercoledì 21 giugno 2023
Dato tra i nomi più probabili per succedere a Giovanni XXIII ne raccolse l’eredità più impegnativa:continuare il Concilio Vaticano II che si era aperto solo nell’ottobre 1962. Ci vollero 5 scrutini
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Il 21 giugno 1963 il cardinale Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano, veniva eletto nuovo Pontefice nel Conclave convocato all’indomani della morte di papa Giovanni XXIII. In questo racconto monsignor Ettore Malnati vicario episcopale per il laicato e la cultura della diocesi di Trieste, ripercorre i giorni della vigilia dell’apertura del Conclave e le ore che portarono la maggioranza degli 82 cardinali presenti a scegliere l’arcivescovo di Milano per raccogliere l’eredità di papa Roncalli e soprattutto del Concilio Vaticano II apertosi l’11 ottobre 1962. Montini sarà scelto dai cardinali che auspicavano la continuazione di questo evento ecclesiale che ha segnato la storia della Chiesa.

Dagli “appunti” pubblicati con il titolo Oltre il portone di bronzo del cardinale Jacques Martin, per anni vissuto accanto a sei Papi, alla data del 17 giugno 1963 troviamo: «La Chiesa è in lutto per la morte di Papa Giovanni. Una nota stonata nel dolore universale, raccolta in questa frase che viene attribuita al cardinale Siri, arcivescovo di Genova: “Ci vorranno cinquant’anni per riparare i danni di questo pontificato”. Si pensa che questo atteggiamento reazionario, oltre dal cardinale Siri venga condiviso dal cardinale Antoniutti (candidato della Curia per il pontificato post-giovanneo) con l’aperto sostegno del cardinale Ottaviani. Questi però, per quanto è dato di vedere, non ha alcuna possibilità di imporsi al Conclave, dove la maggioranza sembra chiaramente allineata sull’apertura al mondo, indicata e praticata da Papa Giovanni.

Un ritorno verso posizioni di chiusura rigida e di diffidenza nei confronti del mondo moderno spezzerebbe lo slancio del Concilio appena interrotto e farebbe perdere di colpo alla Chiesa la simpatia universale che le ha acquisito l’ultimo Pontefice. C’è solo un uomo che sembra predestinato a continuare l’opera di Papa Giovanni. Il suo nome è sulle labbra di tutti: il cardinale Montini».

Dopo aver presieduto a Milano la processione del Corpus Domini il 13 giugno , Giovanni Battista Montini preparò per i suoi collaboratori milanesi un appunto datato 15 giugno 1963, dove indicava un elenco di cantieri aperti per le nuove chiese in tutta l’arcidiocesi e lo fece recapitare da don Pasquale Macchi a don Renato Corbella dell’ufficio amministrativo diocesano; scrisse una lettera ad un sacerdote in crisi vocazionale con sentimenti paterni e di speranza, che portava la data del 18 giugno 1963.

Il 17 il cardinale Montini fu a Roma e partecipò ai novendiali (i nove giorni di lutto e celebrazioni in suffragio dell’anima del Pontefice morto). Giunto in sacrestia della Basilica Vaticana «venne salutato con molto entusiasmo e particolare effusione da molti cardinali, tra cui Stefan Wyszynski, arcivescovo di Varsavia e il cardinale Laurean Rugambwa, vescovo di Bukoba, in Tanzania. Da quel momento la serenità dell’arcivescovo [Montini] lasciò il posto a trepidazione e turbamento».

Ottantadue furono i cardinali che entrarono e votarono in quel Conclave del 20 giugno 1963 sotto le volte austere della Cappella Sistina. Quel Conclave fu l’ultimo in cui, assieme ai porporati, potevano entrare, nonostante l’extra omnes (il «fuori tutti» che precede la chiusura ermetica del recinto del Conclave), anche i loro segretari.

Vi furono cinque scrutini. Tra i papabili della Curia vi furono voti per Antoniutti, fine diplomatico, che fu con il cardinale Celso Costantini in Cina e poi nunzio in Spagna, e che all’epoca del Conclave era Prefetto della sacra congregazione dei religiosi. Il segretario del cardinale Maurice Feltin disse a don Macchi che la maggioranza dei cardinali di lingua francese erano per Montini, mentre il segretario del cardinale Maurilio Fossati [arcivescovo di Torino] vedeva non semplice la riuscita di Montini.
In Conclave si resero evidenti i due schieramenti del Concilio. Prevalse la linea dell’ “aggiornamento” e della Chiesa “in uscita” ad offrire speranza all’umanità.

Così scrisse nei suoi appunti segreti il cardinale. J. Martin nel giorno 21 giugno 1963: « Alle 11 di questa mattina fumata bianca! Tre quarti d’ora di incertezza e poi la notizia tanto attesa […]. Scelta molto abile del nome: non potevano esserci due Papa Giovanni. Riprendere il nome di Pio sarebbe stato interpretato come l’indice di un ritorno a Pio XII, in opposizione a Giovanni XXIII. Paolo invece era perfetto. È proprio il Papa di cui avevamo bisogno come successore di Papa Giovanni e per rilanciare la macchina del concilio: un uomo aperto al mondo moderno, con una sensibilità sociale, conoscitore della Curia, stimato sul piano internazionale e soprattutto uomo di Chiesa, sacerdote e apostolo. Quelli che, secondo alcune voci, hanno fatto pressione su Pio XII per allontanarlo da Roma nel 1954, saranno i soli a non rallegrarsene. Nelle circostanze attuali, sarebbe stato quasi un delitto non mettere a capo della Chiesa un uomo così altamente preparato e perfettamente idoneo a questa carica, uno spirito così elevato. “Non avrei creduto che avesse così tanti nemici e così accaniti”, ha detto il cardinale Feltin al mio collega Pinchon, rivelando così che l’elezione non è stata unanime […].Il cardinale Feltin, come molti altri, è convinto che fosse l’unico in grado di succedere a Papa Giovanni. Non ho avuto dubbi sul fatto di dargli il voto dall’inizio alla fine del Conclave, mente altri, come il cardinale Liénart e Fossati erano molto incerti] .

Colui che dalla loggia vaticana annunciò al mondo che l’arcivescovo di Milano, il cardinale Giovanni Battista Montini, era il nuovo Vescovo di Roma e il suo nome sarebbe stato Paolo VI, fu il cardinale Ottaviani, che certo di quella scelta non fu “complice”.
Dopo essere apparso alla loggia della Basilica vaticana con le insegne proprie del Sommo Pontefice, nella commozione sua e di molti, impartì la sua prima benedizione apostolica Urbi et Orbi, che ebbe come singolare destinataria l’anziana mamma del suo segretario, don Pasquale Macchi. Appena il segretario venne avvertito di raggiungere l’eletto Pontefice, giunto da lui, Montini gli disse: “Vede cosa mi è capitato” e poi soggiunse: “La mia prima benedizione è per sua mamma”».

Nel pomeriggio dello stesso giorno dell’elezione, Paolo VI riconfermò nel suo ruolo di Segretario di Stato il cardinale Amleto Cicognani. Prese possesso dell’appartamento pontificio e prima della rottura dei sigilli fece venire monsignor Loris Capovilla, già segretario di papa Giovanni XXIII, e prese visione del suo nuovo alloggio. Il primo ambiente che visitò fu la cappella rimasta orfana della presenza orante dei Successori di Pietro.
Ricordò a Capovilla il suo grato pensiero per il Pontefice del Concilio e delle due stupende encicliche sociali, Mater et Magistra e Pacem in terris.

Sistematosi nell’appartamento pontificio, ecco i suoi pensieri: «Sono nell’appartamento pontificio, impressione profonda, di disagio e di confidenza insieme. Telegrammi a casa, a Milano, a Brescia, ecc, ad alcune persone amiche - telefonate - poi è notte: preghiera e silenzio. No, che non è silenzio, il mondo mi osserva, mi assale. Devo imparare ad amarlo veramente. La Chiesa qual è. Il mondo qual è. Quale sforzo! Per amare così bisogna passare per il tramite dell’amore di Cristo. Mi ami? Pasci. / O Cristo, o Cristo! / Non permettere che io mi separi da Te. / O Cristo, o Cristo: io in Voi.

Tante impressioni possono commuovere e distrarre, creando fantasie e sentimenti, da cui altri trarranno argomenti di discorso e di colloquio piacevole; non io: bisogna che io alimenti la mia coscienza e la mia vita interiore d’altri pensieri, quelli dell’ufficio immane che mi è affidato, del contegno interiore ed esteriore, ch’esso mi impone; del riferimento a Cristo, a Dio ch’esso postula come sua fonte e sua ragione d’essere. Coscienza di servo obbligato a grandi cose» .

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