martedì 29 marzo 2011
Il riconoscimento degli immigrati come "cittadini", portatori "di diritti e di doveri", è un traguardo che non può essere "ulteriormente dilazionato". Lo sostengono i vescovi italiani riuniti a Roma nel Consiglio Episcopale Permanente (28-31 marzo), che oggi hanno dedicato la loro seconda giornata di lavori alla discussione sui tempi proposti dalla prolusioni di ieri del cardinale presidente Angelo Bagnasco.
- Il comunicato al termine della seconda giornata
- Noi e la storia che cambia di Carlo Cardia
- Bagnasco: vicini a chi fugge dalla guerra  (IL TESTO DELLA PROLUSIONE)
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Il riconoscimento degli immigrati come "cittadini", portatori "di diritti e di doveri", è un traguardo che non può essere "ulteriormente dilazionato". Lo sostengono i vescovi italiani riuniti a Roma nel Consiglio Episcopale Permanente, che oggi hanno dedicato la loro giornata di lavori alla discussione sui temi proposti dalla prolusioni di ieri del cardinale presidente Angelo Bagnasco."Sulla delicata questione dell'immigrazione, la pace e l'accoglienza risultano strettamente collegate - si legge in una nota diffusa da monsignor Domenico Pompili -: ci si apre all'una, solo se si è aperti anche all'altra. La necessità di una nuova stagione di inclusione sociale che porti al riconoscimento degli immigrati come cittadini, soggetti di diritti e di doveri, è un obiettivo che non potrà essere ulteriormente dilazionato". Della prolusione di Bagnasco, nei molti interventi di oggi è stato apprezzato l'approccio generale e, in particolare, la trattazione di alcuni temi come lo specifico contributo della Chiesa al nostro Paese e "la richiesta di abbandono delle armi con l'avvio di una soluzione diplomatica per la questione libica".Da molti vescovi è stata valorizzata l'immagine delle parrocchie "come palestre dello Spirito", dove  "avvengono miracoli perché si cerca il Signore". L'attività pastorale, dunque, non è "una distesa polverosa di fatti burocratici che si ripetono", ma "una serie provvidenziale di eventi che aiutano le persone ad uscire dall'individualismo", ripartendo dalla realtà. Per far questo - è stato sottolineato - si richiede anche uno sforzo di pensiero che tragga spunto dalla rivelazione cristiana. "Solo un discernimento attento che faccia perno sulle categorie cristiane di fondo evita di andare a rimorchio dei luoghi comuni o dei pregiudizi più diffusi, facendosi interpreti di un giudizio originale e controcorrente", spiega mons. Pompili.Così, ad esempio, "il problema demografico è un segno dell'erosione antropologica che dovrà mettere in conto non solo politiche familiari più attente, ma anche una cultura della vita più diffusa".Secondo i vescovi, inoltre, il decennio appena avviato sarà l'occasione non tanto per riflessioni accademiche sull'educare quanto piuttosto per concrete esperienze educative "che sappiano valorizzare l'ordinarietà della vita ecclesiale per una rinnovata stagione di evangelizzazione".
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