lunedì 26 settembre 2011
Più di 25 mila persone accalcate in piazza Duomo hanno salutato domenica l'insediamento del nuovo arcivescovo, che ha invitato i cristiani a «assumersi gli obblighi sociali attraverso le virtù cardinali, tanto necessarie nel nostro Paese». IL TESTO DELL'OMELIA
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«Un cristianesimo che non investa tutte le forme di vita quotidiana degli uomini, cioè che non diventi cultura, non è più in grado di comunicarsi». Da qui il processo che porta «inesorabilmente alla separazione» tra fede e vita. Il cardinale Angelo Scola, nell’omelia alla Messa d’ingresso nell’arcidiocesi di Milano, fa sua l’analisi di Paolo VI, suo predecessore sulla cattedra di Ambrogio, attingendo a parole profetiche che risalgono addirittura agli anni Trenta, per evocare la posta in gioco che attende la Chiesa milanese – e in realtà la Chiesa tutta, chiamata alla sfida della nuova evangelizzazione in una società da lungo tempo e profondamente secolarizzata.La posta in gioco è essere testimoni credibili del «senso cristiano dell’esistenza» quale risposta alle domande radicali di libertà, felicità, pienezza che abitano il cuore di ogni uomo, anche di quanti oggi «sembrano sopraffatti dal mestiere di vivere, scandisce Scola evocando Cesare Pavese davanti agli ottomila che domenica pomeriggio affollavano il Duomo e ai 15mila che lo avevano accolto in piazza, seguendo poi il rito sui maxischermi. Scola non si limita a riprendere l’analisi di Montini: richiama anche una sua storica iniziativa, la Missione cittadina del 1957. Come fu per la «missione montiniana», il suo «venite e ascoltate» rivolto a tutti «presuppone da parte dei cristiani un andare, un rendersi vicini agli uomini e alle donne in tutti gli ambiti della loro esistenza... L’unico nostro intento è far trasparire Cristo luce delle genti sul volto della Chiesa».La Messa in Duomo, dove Scola ha ricevuto il pastorale di san Carlo Borromeo dal predecessore, il cardinale Dionigi Tettamanzi, e si è assiso alla cattedra arcivescovile, è stata il culmine di un itinerario d’ingresso che ha ordinato luoghi, gesti, incontri, col respiro di un pellegrinaggio. La prima sosta: Malgrate, provincia di Lecco, diocesi di Milano, il paese natìo. Nell’abbraccio della comunità d’origine ha pregato al fonte, dov’è stato battezzato, e al cimitero, sulla tomba dei genitori e del fratello. Scola era partito nel primo pomeriggio da Lorentino, frazione di Calolziocorte, comunità a cui il già vescovo di Grosseto, rettore della Lateranense e patriarca di Venezia è particolarmente legato. Poi via verso Milano, che gli ha dato il primo saluto alla Basilica di Sant’Eustorgio, il «memoriale» dei primi battezzati e dei martiri della città. In piazza lo hanno ricevuto il sindaco Giuliano Pisapia e il vicario episcopale della città, monsignor Erminio De Scalzi. All’interno l’abbraccio festoso e orante di duecento catecumeni ambrosiani, i battezzati di domani. Tanti italiani, la maggioranza stranieri. Un’assemblea che «esprime visivamente il volto della nostra amata terra: Milano – ha detto Scola – da sempre crocevia di incontro con l’altro». Da Sant’Eustorgio, via verso piazza Duomo, sotto il caldo sole di settembre, dov’è stato accolto dal vicario generale, monsignor Carlo Redaelli, dal moderator Curiae, monsignor Gianni Zappa, dalle autorità civili e militari. Sul sagrato lo attendeva Tettamanzi. I porporati si sono scambiati un lungo abbraccio e sono entrati insieme in Cattedrale. All’ingresso Scola ha baciato in ginocchio la Croce capitolare.I testi liturgici della prima Messa, quelli della festa di sant’Anàtalo, primo vescovo di Milano, e dei santi vescovi milanesi. Nell’omelia, Scola ha ricordato come l’Incontro mondiale delle famiglie, nel 2012, farà da bussola al prossimo anno pastorale. Sarà l’occasione per avere a Milano Benedetto XVI. «L’arcivescovo viene da Milano e tutto il suo cuore sarà per Milano» aveva detto mercoledì il Papa consegnando il pallio a Scola. Il porporato ha assicurato che farà sue quelle parole. Al termine del rito, tante persone da ringraziare: familiari, amici, gli arcivescovi emeriti Tettamanzi e Martini, i «padri e maestri nella fede» come Giussani, von Balthasar, Giovanni Paolo II. Agli esponenti delle altre Chiese e confessioni cristiane e delle altre religioni, l’assicurazione che Milano continuerà a essere luogo di dialogo e collaborazione. Infine il grazie a tutti i milanesi che lo hanno accolto «con tanto calore». E un invito «per la nostra Milano, metropoli illuminata, operosa e ospitale: non perdere di vista Dio».
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