giovedì 8 settembre 2011
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DA VENEZIA FRANCESCO DAL MAS P rima il saluto ai sacerdoti e ai vescovi del Nordest nella Basilica della Salute, poi l’ultimo giro nella gondola con 18 rematori lungo il Canal Grande per raccogliere tutto l’af­fetto dei veneziani, infine la com­mossa concelebrazione nella Ba­silica di San Marco. E qui la ras­sicurazione del cardinale Ange­lo Scola, arcivescovo eletto di Mi­lano, per 10 anni patriarca della città della laguna. «L’esperienza del distacco, già orientato a un presente di risurrezione, rende ogni partenza provvidenziale – ha detto il porporato –. E la pro­spettiva della risurrezione ci fa capire che ogni prova è per il no­stro bene e ciò che il nostro cuo­re trattiene ancora di terreno lo si deve orientare verso il cielo». Ie­ri sera il congedo da Venezia, dal­la sua Chiesa; l’altra sera, alla Fe­nice, quello dalle istituzioni (pre­senti, fra gli altri, gli operai della Vinyls che l’hanno ringraziato). Sobria e al tempo stesso solen­ne, la celebrazione di ieri sera, a cui non ha voluto mancare il pa­triarca emerito, Marco Cé. Scola guarda in volto la sua gente e in­siste con le rassicurazioni: «Que­sta non è una partenza – rincuo­ra – questo non è propriamente un distacco, non solo perché 10 anni di vita non sono uguale a ze­ro; non solo per la bellezza strug­gente della nostra Venezia che oggi le Remiere mi hanno fatto vedere con la luce intensissima attraverso un lungo percorso ac­queo, non solo per quanto ab­biamo potuto realizzare con le nostre forze, non solo perché ci perdoniamo a vicenda ciò che e­ventualmente di male ci avessi­mo arrecato. No, nessuna par­tenza è una partenza, per chi è incamminato verso l’unica meta – Cristo nostra vita – ogni distac­co, ci fa mettere a fuoco questa meta». Con questa premessa, Scola pas­sa ai ringraziamenti: dal cardi­nale Cé, «che mi è stato più che fratello in tutti questi anni», al ve­scovo Beniamino Pizziol – che da questa mattina assume il com­pito di amministratore apostoli­co fino all’arrivo del nuovo pa­triarca – dai sacerdoti ai religiosi ai fratelli delle altre confessioni, presenti pure loro in basilica, dai laici alla società civile e alla au­torità, dai bambini agli anziani, a­gli ammalati, ai poveri e agli e­marginati. Scola, poi, ha chiesto che eventuali offerte raccolte nel­l’occasione del suo saluto siano destinate ad un’opera che sappia educare al gratuito. «Quanto è bella, la nostra Chie­sa – ha esclamato Scola –: real­mente un luogo di pluriformità nell’unità. Una Chiesa che ha un presbiterio solido, ricco, plu­riforme, ma unito». Poi il cardi­nale ha chiesto scusa per even­tuali peccati di omissione: «Do­mando scusa a coloro che vo­lontariamente o involontaria­mente avessi potuto offendere in questo cammino. Credo che se ho peccato contro questa Chie­sa, ho soprattutto peccato di o­missione ». E dopo aver raccontato l’ultimo viaggio in gondola («dalle acque vedevo il prorompere della bel­lezza della nostra Venezia, asso­lutamente indicibile, indescrivi­bile e vedevo la gioia di tutti i vi­sitatori sui vaporetti, stupiti, che salutavano entusiasti, oltre che dei veneziani che mi chiamava­no per nome»), Scola ha riserva­to un messaggio rassicurante an­che alla città. «Questo è un pre­sente solido – ha detto –: questa Venezia larga, che non deve più aver bisogno di subordinate per descriversi, dobbiamo amarla tutta, dobbiamo amarci come u­na cosa sola nell’arcipelago del­la nostra varietà, perché è mes­saggio all’umanità». Al termine della celebrazione un bambino, accompagnato dalla sua famiglia, ha donato a Scola, a nome di tutta la Chiesa dioce­sana, un anello episcopale che riproduce i simboli principali del patriarcato.
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