lunedì 5 aprile 2010
Nel discorso pronunciato prima della preghiera, il Pontefice ha richiamato i cristiani al loro dovere di annunciatori della buona novella, dopo aver ricordato domenica nel messaggio pasquale i mali che affliggono il mondo.
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Come angeli. Così devono essere i sacerdoti «per essere fedeli allo loro vocazione». Perché «il termine "angelo", oltre a definire gli Angeli, creature spirituali dotate di intelligenza e volontà, servitori e messaggeri di Dio, è anche uno dei titoli più antichi attribuiti a Gesù stesso». E dunque «come Gesù è stato annunciatore dell’amore di Dio Padre, anche noi lo dobbiamo essere della carità di Cristo: siamo messaggeri della sua risurrezione, della sua vittoria sul male e sulla morte, portatori del suo amore».Con questa citazione da Tertulliano, Benedetto XVI ha chiuso il breve discorso che, ieri a mezzogiorno, ha preceduto la recita del Regina Coeli. Concludendo, idealmente, la serie di riflessioni che, in questa Pasqua del 2010, ha voluto centrare sull’essenza del ministero sacerdotale. Una scelta sicuramente dettata dall’Anno Sacerdotale in corso, ma che le martellanti (e pretestuose) polemiche delle ultime settimane sui casi di abusi sui minori da parte di esponenti del clero hanno senza dubbio caricato di un significato ulteriore, pur senza nessun riferimento esplicito del Pontefice a quelle vicende.Del resto, pur con tutto il suo peso oggettivo, quel clima arroventato non poteva far passare in secondo piano quelle che, per il Papa, sono le emergenze di quest’epoca, da lui richiamate con forza nel messaggio Urbi et Orbi lanciato domenica, al termine della Messa di Pasqua. In esso, ricordando in particolare il Medio Oriente, l’Iraq e il Pakistan, i Paesi Latino-americani, i Caraibi e Africa, e denunciando le abissali ingiustizie economiche ancora esistenti, la piaga del narcotraffico e le perduranti persecuzioni, ha chiesto all’umanità «una conversione profonda».Infatti, ha detto nel Messaggio pronunciato prima di impartire la benedizione apostolica, l’Umanità ha bisogno «non di aggiustamenti superficiali ma di una conversione spirituale e morale», in quanto quella che viviamo è «una crisi è profonda, e che come tale richiede cambiamenti profondi, a partire dalle coscienze». In sé «la Pasqua non opera alcuna magia», ha osservato in proposito il Papa, ma appunto chiede a tutti noi di riflettere sul suo valore – la morte e Risurrezione di Cristo che hanno vinto il peccato e portano il frutto di «una nuova speranza», di cui i cristiani sono chiamati a essere testimoni. Di qui la preghiera perché la Pasqua rechi «ai responsabili di tutte le nazioni luce e forza, perché l’attività economica e finanziaria sia finalmente impostata secondo criteri di verità, di giustizia e di aiuto fraterno». E perché «la potenza salvifica della Risurrezione di Cristo investa tutta l’umanità, affinché essa superi le molteplici e tragiche espressioni di una “cultura di morte” che tende a diffondersi, per edificare un futuro di amore e di verità, in cui ogni vita umana sia rispettata e accolta».Tutti devono sentirsi coinvolti nella Pasqua, che «è per la salvezza di tutti i popoli». Essa infatti «è un avvenimento che ha modificato l’orientamento profondo della storia, sbilanciandola una volta per tutte dalla parte del bene, della vita, del perdono». Ed ecco, qui, le preghiere che Benedetto XVI ha posto al centro del suo messaggio: «Al Signore Gesù chiedo che in Medio Oriente, ed in particolare nella Terra santificata dalla sua morte e risurrezione, i Popoli compiano un “esodo” vero e definitivo dalla guerra e dalla violenza alla pace ed alla concordia. Alle comunità cristiane, che, specialmente in Iraq, conoscono prove e sofferenze, il Risorto ripeta la parola carica di consolazione e di incoraggiamento che rivolse agli Apostoli nel Cenacolo: “Pace a voi!”».E ancora «per quei Paesi Latino-americani e dei Caraibi che sperimentano una pericolosa recrudescenza dei crimini legati al narcotraffico – ha detto, prima di rivolgere un pensiero ad Haiti e al Cile colpite dai terremoti – la Pasqua di Cristo segni la vittoria della convivenza pacifica e del rispetto per il bene comune». E l’augurio di pace per la Repubblica Democratica del Congo, la Guinea, la Nigeria, affinché «nella forza di Gesù risorto si ponga fine ai conflitti che continuano a provocare distruzione e sofferenze e si raggiunga quella pace e quella riconciliazione che sono garanzie di sviluppo». Con l’ultimo pensiero ai «cristiani che, per la loro fede, soffrono la persecuzione e persino la morte, come in Pakistan», e «ai Paesi afflitti dal terrorismo e dalle discriminazioni sociali o religiose».
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