mercoledì 28 marzo 2012
 Durò 45 minuti il colloquio con Giovanni Paolo II. Un faccia a faccia tra due veri e propri «guerrieri». Così è iniziato un cammino che ha portato il Comandante a interessarsi della fede soprattutto dopo la malattia
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Fu il primo Papa ad entrare nel Palacio de la Revo­lucion dell’Avana, accolto con tutti gli onori dal lì­der maximo. Era il 22 gennaio 1998 e le immagi­ni di quello storico incontro tra Giovanni Paolo II e Fi­del Castro fecero il giro del mondo. Nel suo faticoso in­cedere attraverso i saloni tappezzati di rosso, la bianca figura del Papa era accompagnata dal Comandante che per l’occasione aveva lasciato nell’armadio l’uniforme militare indossando un elegante doppiopetto blu. El Je­fe sorreggeva «Juan Pablo segundo» allungando il brac­cio con un’attenzione delicata e premurosa ben oltre il protocollo. Si poteva cogliere una tenerezza reciproca e commovente che per un attimo fece passare in se­condo piano la contrapposizione tra il Pontefice che a­veva abbattuto il comunismo ed il presidente dell’ulti­mo Paese marxista rimasto nell’emisfero occidentale.

S’intrattennero in colloquio privato per 45 minuti. Un faccia a faccia tra due guerrieri: l’uno anziano e mala­to da cui continuava a sprigionarsi una grande energia spirituale, l’altro non più giovane, con la barba ormai sale e pepe, deciso a portare avanti cocciutamente l’u­topia socialista. Un incontro che ha lasciato tracce profonde nell’animo di Fidel, come lui stesso ammet­terà in varie occasioni. Un incontro drammatico, tant’è che da allora si ipotizza una sua conversione. Lo scrit­tore spagnolo Vazquez Montalban che ne trasse spun­to per un libro dal titolo suggestivo E Dio entrò all’Ava­na ha avanzato il sospetto che si sia trattato dell’enne­simo «coup de théatre» da parte di un attore della sto­ria abile e spregiudicato. Ma è vero che Fidel Castro ha sempre mostrato un gran­de interesse per la religione. «Da anni vado studiando le profonde affinità tra la dottrina cristiana e quella ri­voluzionaria » confidava già nel 1985 al brasiliano Frei Betto in una lunga intervista che divenne un manife­sto della teologia della liberazione latino-americana. Allievo dei gesuiti, scomunicato nel 1963 dopo che a­veva messo al bando la Chiesa cattolica cubana, cac­ciato i vescovi e proibito ai cattolici d’iscriversi al par­tito unico, il barbudo della Sierra Maestra non si è mai definito ateo. E si è sempre tenuto informato sulle en­cicliche e sulle dichiarazioni più importanti del Papa e della gerarchia ecclesiastica, convinto della profonda sintonia tra le sue idee su capitalismo, mondo della fi­nanza, globalizzazione ed ecologia e quelle di Giovan­ni Paolo II. Lo disse pubblicamente nel corso della ce­rimonia di benvenuto a papa Wojtyla sbarcato sull’iso­la caraibica: «Ho vissuto delle esperienze personali che mi permettono di apprezzare molti aspetti del suo pen­siero». Negli ultimi tempi, dopo la malattia che l’ha colpito nel 2006 e l’ha costretto al ritiro definitivo dal potere nel 2008, sembra che sia cresciuto il suo interesse per i te­mi della fede e dell’aldilà. Dicono che sul suo comodi­no ci sia una copia del Gesù di Nazareth di papa Rat­zinger cui ha dedicato una lettura attenta e meticolo­sa. Il vecchio Fidel appare sempre più lontano dall’ico­nografia di sinistra e dall’immagine cinematografica immortalata nel «Comandante» di Oliver Stone. Il lun­go autunno del Patriarca che ha governato per quasi cinquant’anni con pugno di ferro e retorica debordan­te si concluderà con un’umile e sommessa riscoperta della fede?

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