giovedì 3 ottobre 2019
L’affascinante ipotesi della studiosa svizzera Mechthild Flury-Lemberg: la santa avrebbe preso pezzi del suo mantello per riparare la tunica del Poverello, mentre era ancora vivo o dopo la sua morte
La tunica di san Francesco rattoppata

La tunica di san Francesco rattoppata

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Ho “scoperto” qualcosa di sorprendente, parcheggiato da molti anni tra gli scaffali della nostra biblioteca. Secondo Mechthild Flury-Lemberg, una delle più importanti studiose di tessuti antichi, le pezze, i rattoppi sulla tonaca di san Francesco, conservata nella Sala delle Reliquie presso la Basilica ad Assisi – sono stati cuciti da santa Chiara. Due le ipotesi, esposte in «La tonaca di san Francesco», San Francesco Patrono d’Italia n.2 febbraio 1989 e Textilkonservierung, Schriften der Abegg-Stiftung, Bern, 1988.

«Osservando il mantello di Chiara», scrive Mechthild Flury-Lemberg, «potei subito stabilire un rapporto con la tonaca di Francesco: le molte pezze marroni poste con cura sulla tonaca di Francesco provengono tutte dal mantello di Chiara! Questo mantello consiste di un pezzo di tessuto largo circa 55 centimetri e lungo 356 centimetri, che viene ripreso con una cucitura di circa 20 centimetri sul margine del collo per formare una mantellina».

Questa invece la seconda ipotesi: «Chiara è sopravvissuta a Francesco per molti anni. È possibile che lei abbia rappezzato la tonaca del suo fratello di fede quando questi era ancora in vita, ma è anche possibile che lei abbia “abbellito” col suo mantello quella veste così povera come ultimo atto d’amore, dopo la morte del santo, quando la tonaca era già diventata una reliquia.

Lo stato ben conservato delle cuciture testimonia a favore di questa seconda versione. Non ci può essere comunque alcun dubbio sul fatto che sia stata santa Chiara a cucire le pezze sulla tonaca, perché non è immaginabile che le sue sorelle potessero danneggiare il mantello della fondatrice del loro ordine dopo la morte della santa, visto che anche questo mantello era diventato una reliquia di notevole importanza». Ipotesi che trovano un probabile fondamento nelle fonti scritte, in cui si racconta che Francesco, una volta all’anno, andava da Chiara per farsi rammendare il piccolo corredo che possedeva.

Una sola tonaca. Si legge nello Specchio di perfezione: «In nessun caso [Francesco] ammetteva che i frati avessero più di due tonache, che però concedeva fossero rattoppate con pezze. Diceva che le stoffe ricercate le aveva in orrore, e ruvidamente rimproverava quelli che facevano il contrario. E per eccitarli con il suo esempio, portava sempre cuciti sulla sua tonaca dei pezzi di sacco grossolano. E, morente, comandò che la tonaca per le esequie fosse ricoperta di sacco». Francesco comprende che tanto vale l’uomo quanto vale dinanzi a Dio e nulla più.

Abbiamo contato 31 rattoppi della tonaca, di cui 19 sono quelli cuciti dal mantello di santa Chiara. Un simbolismo forte. Indicano la lacerazione e il limite che ognuno porta con sé inevitabilmente, inesorabilmente. Gli strappi sono stati cuciti, o ricuciti. Solo l’amore può ricucire, permette di racconciare e ricominciare. Un amore che l’arcivescovo Felice Accrocca, uno tra i massimi esperti e studiosi di francescanesimo, definisce «libero e intenso». Che cosa tiene in vita una tonaca, una persona, se non la comprensione, la carità, la capacità di ricucire con l’altro, altrimenti siamo tutti chiamati ad essere gettati via perché non amati.

Il colore marrone e grigio del tessuto naturale della tonaca è l’immagine della terra. Non solo l’humus dove poggiamo i piedi; la terra a cui l’abito richiama è la capacità intrinseca che ha ogni persona di generare vita: è il compito di nostra madre terra, di ognuno di noi; forse comprendiamo anche perché la Laudato si’ è innervata di francescanesimo. Quando si ricompatta la nostra unità interiore? Quando nasce la fraternità? Quando vive la relazione con gli altri? Solo quando si è capaci di generare vita.

Mi sono chiesto il senso di questa “scoperta” e riproposta. Ne ho parlavo con il cardinale Gualtiero Bassetti, che, con lo sguardo che si poggiava sulle ansie del mondo, mi ha detto: «È la condivisione della povertà». Un’affermazione questa che potrebbe aiutare i tanti cuori induriti di chi grida «prima noi e poi gli altri».

Non posso che concludere con i versi di Alda Merini, che racconta la concretezza di questi “stracci“: «Felice colui / che mi ha rivestito di un saio / che è diventato un pavimento di rose. / Non ho mai sentito / l’asperità di questo tessuto, / ma odorava di fresco, / odorava di mattino, / odorava di resurrezione. / Le mie spalle sono diventate deboli ma forti: / sono diventato un contadino di fede. / Aravo solo la terra di Dio, la sua volontà».

Enzo Fortunato è direttore della sala stampa del Sacro Convento di Assisi

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