sabato 18 novembre 2023
Sono 75 i sacerdoti lavoratori di Mission France, prelatura al servizio dei vescovi: «Così raggiungiamo questo mondo secolarizzato». La storia di padre Gesmier, per 35 anni sorvegliante in un carcere
Un raduno di preti operai francesi a Orsay

Un raduno di preti operai francesi a Orsay - La Croix

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Sono 75 i sacerdoti lavoratori di “Mission France”, prelatura al servizio dei vescovi. Padre Debilly: «Così raggiungiamo questo mondo secolarizzato» La storia di padre Gesmier, per 35 anni sorvegliante in un carcere della banlieue parigina Parigi Oltralpe è un’eredità spirituale dai contorni sfuggenti. A consegnarla è stata una vocazione di vita sacerdotale spesso lontana da ogni appariscenza. Eppure, in modo un po’ paradossale, si discute sempre molto delle orme lasciate, nonostante tutto, dall’opera dei preti operai. Per questo, durante il viaggio di papa Francesco a Marsiglia nello scorso settembre, ha raggiunto il cuore di tanti francesi l’evocazione, da parte del Pontefice, del domenicano Jacques Loew (1908-1999), il primo prete operaio, che dal 1941 decise di condividere la vita degli scaricatori di porto nella città mediterranea. «Sì, siamo rimasti tutti colpiti da quest’evocazione. L’abbiamo vissuta come una forma di riconoscimento. La storia dei preti operai è stata difficile, poiché vi fu una battuta d’arresto abbastanza brusca nel 1954. Poi, il Concilio Vaticano II riaprì questa possibilità, di nuovo seguita da tanti.

Che papa Francesco evochi questa memoria, valorizzandone l’attualità e la pertinenza è per noi interessante », dice ad Avvenire padre Xavier Debilly, responsabile del seminario della Mission de France, prelatura al servizio della Conferenza episcopale, soprattutto nelle contrade del Paese più colpite dalla secolarizzazione. Proprio l’entità al cui interno è maturata pure l’esperienza di tanti preti decisi a lavorare in fabbrica, ovvero i preti operai in senso stretto. Realtà diversa da una congregazione religiosa, la Mission de France, affidata alla cura dell’arcivescovodi Sens-Auxerre, Hervé Giraud, conta oggi 75 preti, di cui 20 sotto i 65 anni. Ad affiancarli sono dei diaconi e laici: « Lo scorso luglio, abbiamo vissuto quattro ordinazioni, un prete e tre diaconi che si preparano a divenire preti. Quest’anno contiamo sei seminaristi », precisa il sacerdote, che esercita la professione di insegnante. Il seminario si trova a Ivry-sur-Seine, proprio il sobborgo dell’ex “cintura rossa” parigina dove operò la mistica Madeleine Delbrêl (1904-1964), riconosciuta venerabile nel gennaio del 2018 e il cui slancio missionario contagioso, volto ad evangelizzare i ceti finiti sotto l’influenza del marxismo, s’intrecciò con l’opera dei preti operai.

Oggi molto meno numerosi che in passato, i preti operai, accanto a quelli più in generale inseriti nella vita professionale, hanno segnato un’epoca, affascinando generazioni di credenti. Il nocciolo incandescente della loro vocazione sembra ancor oggi riassunto da un interrogativo che lo stesso Loew espresse in una lettera al proprio superiore generale: «in quale luogo dunque questi uomini, che per la Chiesa e per il prete nutrono solo disprezzo, incontreranno Cristo, povero e amico dei piccoli?». Quello dei preti operai, per Loew, era un «apostolato integrale», con il cuore e con le mani, in modo da raggiungere le “periferie” più lontane dalla pratica religiosa. «Ci sentiamo gli eredi dei preti operai, ma non completamente. I preti operai, che coltivarono quest’ideale di raggiungere la classe operaia e si consideravano come discendenti delle prime comunità cristiane circondate da non credenti, non appartenevano tutti alla Mission de France. E i preti della Mission de France non sono mai stati tutti dei preti operai. Ancora oggi, abbiamo sacerdoti che sono operai in fabbrica o agricoli, ma accanto ad altri che sono ricercatori universitari, o insegnanti nelle scuole secondarie, o medici, infermieri e così via. In ogni caso, ciò che conta non è solo l’attività professionale, ma il fatto d’essere inviati per condividere la vita della gente laddove si trova. Un po’ come fu per san Paolo: raggiungere il mondo secolarizzato. Non siamo inviati con l’obiettivo diretto di fare proseliti, ma per condividere fino in fondo l’esistenza degli altri, attraverso il dialogo e l’ascolto.

C’è un’idea di gratuità, nel senso dell’interesse della Chiesa per ogni esperienza umana», continua padre Debilly, esplicitando pure un altro aspetto: « È per noi centrale la rilettura teologica delle nostre esperienze diverse. In altri termini, ci chiediamo: cosa ci dicono queste esperienze su Dio e sulla fede?». Oggi in pensione, padre Henri Gesmier ha lavorato per 35 anni come sorvegliante penitenziario, sempre nello stesso grande carcere della banlieue sud parigina. Un’esperienza piena d’intimi risvolti: «ho conosciuto l’epoca in cui in Francia vigeva la pena di morte e ho seguito l’umanizzazione progressiva di un mondo prima era del tutto chiuso. A lungo, solo una centralinista sapeva che ero prete, fino al giorno in cui è morta di tumore, chiedendo al figlio che celebrassi il funerale. Un prete operaio non s’impone agli altri, ma si lascia scoprire da loro. È un altro approccio dell’evangelizzazione, in nome della pura gratuità del Vangelo. Quando Gesù guarisce i malati, non chiede loro di divenire suoi discepoli. La bellezza della Chiesa è pure nella presenza gratuita, nel rischio del Vangelo, accettando sempre il faccia a faccia e dunque la propria vulnerabilità. Ho rifiutato qualsiasi promozione, per restare nello spirito dei preti operai, a contatto delle persone d’ogni tipo, in una solidarietà e prossimità per accompagnarli, con esperienze sorprendenti. Questo è fondamentale, anche se tanti dei miei colleghi in carcere non capivano quest’atteggiamento».

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