sabato 27 maggio 2023
Paolo Ramonda fa il bilancio di tre lustri passati alla guida della Comunità Papa Giovanni XXIII. Fino a domenica a Rimini l’assemblea per eleggere il nuovo presidente, con delegati di 42 Paesi
Fino a domenica a Rimini l’assemblea della Comunità Papa Giovanni XXIII per eleggere il nuovo presidente, con delegati di 42 Paesi

Fino a domenica a Rimini l’assemblea della Comunità Papa Giovanni XXIII per eleggere il nuovo presidente, con delegati di 42 Paesi - Riccardo Ghinelli

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Dopo tre lustri alla guida dell’associazione “Comunità Papa Giovanni XXIII”, fondata negli anni ’60 da don Benzi, Paolo Ramonda passa la mano. Saranno circa duecento delegati da tutto il mondo ad eleggere oggi e domani a Rimini il nuovo o la nuova presidente, che traghetterà nel prossimo decennio una delle realtà più attive in 42 Paesi del mondo al fianco dei “poveri”, condividendo interamente la loro vita. Dal 2007, alla morte di don Benzi, Ramonda ne era stato il successore naturale: « Ero il suo vice, ma don Oreste non aveva mai fatto pubblicamente il mio nome, è stata la comunità di fatto a scegliere».

Dopo 15 anni da responsabile generale, qual è il suo bilancio personale?

Con mia moglie Tiziana siamo padre e madre di casa famiglia da 40 anni, con tanti ragazzi diversamente abili che in questi decenni sono diventati nostri figli, quindi l’incarico si è inserito in una nostra scelta di vita già molto orientata. Quando ho accolto il mandato l’ho ritenuto un servizio, alla comunità, alla Chiesa, ai poveri. Avevo coscienza che sarebbe stato pro tempore, noi non siamo dei “professionisti” e chi fa il presidente non diventa un manager, anzi, deve mettersi il grembiule del servizio, dell’ascolto, del discernimento e anche il grembiule del coraggio di decidere, perché la nostra è una comunità con 500 strutture in 42 nazioni. È una vita “abbondante” di responsabilità e di scelte da fare, anche dal punto di vista della sostenibilità economica che va garantita… Però è stata un’esperienza meravigliosa, ho avuto l’opportunità di conoscere culture dall’Africa all’Asia, dall’America Latina all’Europa. Soprattutto di vedere l’abbondanza di famiglie, di consacrati, di sposi, di sacerdoti, di giovani, una comunità di persone che condividono la loro vita direttamente con i più poveri, nelle case famiglia, nelle comunità terapeutiche, nelle cooperative. Insomma, è un bilancio estremamente impegnativo ma positivo, croce e delizia, gioia e tribolazione.


«Quando vivi con bambini gravemente disabili, ragazzi con malattie mentali, ragazze che hai liberato dalla strada, in tutto il mondo la gente si fida di te»

Onore e onere…

L’onore dura il primo giorno, quando ti danno il mandato e ci sono gli applausi. Gli oneri iniziano dal giorno seguente.

È un primo messaggio per il prossimo presidente?

Sì, però gli dico che avrà accanto una comunità matura, strutturata, che ha una necessaria organizzazione e che è sempre al servizio del carisma. Soprattutto tante persone competenti.

C’è un presidente che si augura venga eletto?

Abbiamo fatto un bel cammino di confronto in questi due anni e la comunità ha già individuato quattro o cinque persone molto valide. Certamente il decreto di papa Francesco, che ha richiesto questo rinnovamento e ha messo il limite massimo di dieci anni per i presidenti dei movimenti ecclesiali, è un suggerimento a guardare avanti. Io non indico una persona, chi verrà eletto sarà il o la responsabile con cui cammineremo, però penso che occorra dare fiducia a un giovane, che poi comunque sarà accompagnato da un’intera comunità con all’interno persone mature. Esperienza insieme a rinnovamento, continuità insieme a novità.

Il Papa invita spesso giovani e anziani a incrociare i loro talenti per un bene comune. Esattamente. Lo abbiamo già attuato, perché di 25 responsabili di zona ne abbiamo rinnovati dieci, secondo l’indicazione del Papa di inserire forze giovani. Alcuni di loro addirittura non hanno conosciuto don Oreste, ma questa è una cosa sana, tanto arriverà un tempo in cui tutti i membri della comunità non avranno incontrato il nostro fondatore: dobbiamo riferirci al carisma di fondazione, più che al carisma del fondatore, che in eredità ci ha lasciato la vita con i poveri.

Dovevate riunirvi a Cesena e finalmente in migliaia, invece dopo il Covid l’alluvione.

La Fiera di Cesena è stata giustamente destinata agli alluvionati, quindi abbiamo ripiegato su una nostra struttura di Rimini che però può accogliere solo i delegati, comunque gli unici che devono votare. Pensavamo di tornare finalmente alla normalità, invece per il quarto anno dobbiamo rinunciare, ma non abbiamo voluto rimandare perché ci siamo preparati bene: è il tempo giusto.

L’alluvione ha messo in ginocchio le vostre case famiglia in Romagna, dove vivono centinaia di disabili gravissimi. È stata un’impresa trasferirli in altre case attrezzate per le loro situazioni.

È vero, sono alluvionate molte nostre strutture, ma abbiamo fatto posto, ci siamo stretti e li abbiamo accolti tutti. Dove si viveva in dieci si vive in venti, lo abbiamo sempre fatto, nel terremoto delle Marche come in tutte le altre necessità: è la forza della comunità. Adesso i nostri figli sono in sicurezza, stiamo aspettando che l’acqua defluisca per andare a vedere i danni e ripartire. D’altronde stiamo vivendo la sorte dei tanti che hanno perso tutto, noi grazie a Dio siamo un corpo unico che si sostiene a vicenda. Inoltre abbiamo visto la solidarietà commovente di tanti giovani e anche le istituzioni stanno rispondendo bene, persino con un bello spirito di collaborazione, non è cosa da poco.


«Noi collaboriamo con tutti, non siamo mai contro ma per, però quando l’ingiustizia lede i diritti fondamentali della persona noi stiamo con la vittima»

Passando il testimone, che consigli si sente di dare?

Don Benzi aveva raccomandato, a chi sarebbe venuto dopo di lui, di fare due cose: stare in preghiera e incontrare i fratelli di comunità a tu per tu, e io le ribadisco entrambe. Aggiungerei che conservi sempre la preminenza della condivisione con i più poveri, perché questo è il quadro di riferimento che anche la gente non credente capisce, lo “specifico visibile” che non ha bisogno di parole. Quando tu vivi con bambini gravemente disabili, con chi non ha nulla e nessuno, con ragazzi che hanno malattie mentali, con le ragazze che sei andato a liberare sulla strada, in tutti i Paesi del mondo la gente si fida di te, tant’è che noi vediamo sempre tanta generosità: con migliaia di persone che tutti i giorni mangiano alle nostre mense, il bilancio da garantire è ingente, eppure non restiamo mai soli. Poi gli consiglio di valorizzare le originalità di ognuno ma sempre custodendo la comunione. E il cammino con la Chiesa: noi siamo un’associazione internazionale di diritto pontificio, quindi sempre in ascolto del Santo Padre, dei vescovi e in comunione con loro. Infine di essere voce di chi non ha voce, mettere la nostra spalla sotto la croce delle vittime ma anche denunciare coloro che queste croci le fabbricano. Noi collaboriamo con tutti, non siamo mai contro ma per, però quando l’ingiustizia lede i diritti fondamentali della persona noi stiamo con la vittima.

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