sabato 24 marzo 2012
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Il bene cammina a passo di lumaca. Lo diceva Gandhi. E così camminiamo anche noi, in una notte che sembra non avere fine». La marcia «a passo di lumaca» del poeta Javier Sicilia è cominciata quasi un anno fa. Il 27 marzo scorso, una raffica di proiettili ha stroncato la vita del figlio ventiquattrenne Juan Franscisco e di due amici. In quel momento, l’oscurità è calata sulla famiglia di Sicilia. Che, però, ha voluto trasformare il suo straziante dolore un un impegno permanente per il «riscatto civile» del Messico. Un Paese – dice – «corrotto e dolente» ma nonostante tutto «pieno d’amore». Sicilia lo ha percorso per intero - da Nord a Sud - insieme a migliaia di attivisti del «Movimento per la pace con giustizia e dignità», da lui fondato undici mesi fa. Ne ha conosciuto l’agonia. E ha raccolto la sofferenza delle vittime della narcoguerra, il conflitto in cui i cartelli della droga combattono fra loro e contro le autorità per il controllo del territorio. Una mattanza che - in cinque anni, da quando il governo ha schierato i militari contro i narcos - ha fatto «47.551 morti ammazzati, 20mila scomparsi, 250mila sfollati», scrive il poeta in una lettera che ha portato personalmente alla Santa Sede alla vigilia del viaggio del Papa in Messico. Perché – spiega – la presenza del Pontefice «può fare molto bene alla nazione. Può far in modo che torniamo a sentire la speranza evangelica».Che cosa ha imparato in questo primo anno del Movimento?Il mio lungo e doloroso camminare con gli uomini e le donne del Messico mi ha insegnato che nonostante il dolore, il buio, il crimine, l’inerzia dello Stato, c’è un’immensa riserva morale nel Paese. Noi vittime avremmo molte ragioni per odiare. E, invece, abbiamo trasformato la sofferenza in amore, consolazione, lotta non violenta per la pace e la giustizia.Quali sono i maggiori risultati ottenuti finora?Abbiamo fatto in modo che la realtà delle vittime entrasse nella coscienza del Paese. E che quest’ultimo comprendesse la necessità di rendere loro giustizia e di costruire la pace. Abbiamo, inoltre, dato impulso alla creazione di un progetto di legge sulle vittime della violenza e gli abusi di potere - attualmente in discussione - e ad un ente per la loro assistenza, Procuradoría de atención a víctimas. Quest’ultima certo avrebbe bisogno di più fondi e personale per essere all’altezza dell’emergenza nazionale. Quali sono le prossime iniziative che avete in mente?Vorremmo costruire un memoriale per i morti e gli scomparsi nel Bosque de Chapultepec, uno dei luoghi simbolo della capitale. In aprile, inoltre, a un anno dalla sua nascita, abbiamo organizzato un incontro nazionale del Movimento per la pace a Cuernavaca. Lì discuteremo, insieme ad organizzazioni civili Usa, il progetto di una Carovana per la pace (sul modello delle due realizzate in Messico, ndr) negli Stati Uniti. Questi ultimi hanno una buona parte di responsabilità nella guerra che ci sta dissanguando. Sono loro i principali consumatori di droga e fornitori di armi ai gruppi criminali.Lei è cattolico. Crede che la fede possa aiutare il Messico?Ne sono convinto. Senza la fede, cioè senza la fiducia cieca che vi sia qualcosa oltre il dolore - una redenzione, un domani -, è impossibile vivere. È impossibile abitare questa oscurità. Disgraziatamente, in Messico, è andata persa la fiducia negli uomini, quella fiducia che rappresenta l’incarnazione della fede in Dio. Ed è durissimo. Per un padre e una madre - a cui hanno assassinato un figlio - è terribile dover convivere con la consapevolezza che le istituzioni sono incapaci di aiutarli. Lo Stato deve restituire la fiducia ai cittadini, garantendo loro giustizia e sicurezza. Senza la fede in Dio - mediata attraverso la fiducia negli altri esseri umani - la vita somiglia all’inferno.È stata la fede a darle forza di andare avanti e di lottare per la pace dopo la morte di suo figlio?Quando hanno assassinato Juan, in molti mi si sono stretti attorno, mi hanno accompagnato e si sono uniti alla mia sete di giustizia. Attraverso il loro affetto e sostegno, ho sentito l’amore di Dio. Quest’ultimo  mi ha permesso di percorrere in lungo e in largo il Messico, di riunire la vittime, di impegnarmi per la pace.Che cosa dovrebbe migliorare il Movimento per essere più incisivo?Dobbiamo cercare di tenere viva la fiducia e la speranza. A volte facciamo fatica, ci sembra di scalare una montagna insormontabile e cadiamo nello sconforto. Grazie a Dio, l’affetto che nutriamo gli uni per gli altri è più forte e ci permette andare oltre le difficoltà. Siamo un popolo in marcia nel deserto, solo la speranza ci dà la forza di proseguire.
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