mercoledì 28 dicembre 2011
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Una delegazione di Missio, la Fondazione della Conferenza episcopale che coordina le attività missionarie della chiesa italiana, è rientrata da poco dalla Papua Nuova Guinea dove si è recata per una visita alle realtà missionarie italiane che lavorano in questo paese dell’Oceania. Don Gianni Cesena, direttore di Missio, assieme a don Maurizio Cuccolo, direttore del Cum di Verona e padre Aldo Giannasi hanno potuto incontrare i missionari italiani presenti sia nella capitale Port Moresby, sia in altre città della costa e dell’interno. E, attraverso di loro, varie espressioni della chiesa locale. Significativo il lavoro missionario svolto a partire dalla fine dell’800 soprattutto dai missionari del Verbo Divino, più conosciuti come Verbiti, tra i primi evangelizzatori dell’area. I missionari italiani si contano oggi sulle dita delle mani, apprezzati tanto che quattro di loro sono vescovi: Francesco Sarego a Goroka, città sulle montagne, Cesare Bonivento, a Vanimo, sul confine con l’Indonesia, Luciano Capelli a Gizo, una delle tantissime isole, e Francesco Panfilo, a Rabaul.È difficile la missione tra queste isole della Melanesia ed affermarlo non è un luogo comune. Innanzitutto l’isolamento: giorni di barca o di provvisori collegamenti aerei per raggiungere i tanti luoghi di questa realtà, parte di un’isola che solo dal 1975 è indipendente dall’Australia. Grande più dell’Italia e con soli 7 milioni di abitanti, non ci sono strade che percorrono la Papua Nuova Guinea. C’è solo una strada, da sud est a nord ovest, da Lae alle montagne, dal porto alle miniere, costruita non per mettere in moto il paese ma per portare lontano le risorse di questa terra equatoriale straordinariamente ricca. Solo agli inizi del Novecento, incrociando gli avamposti coloniali, le popolazioni dell’interno hanno affrontato il contatto con il resto del mondo. «La prima ruota che hanno visto queste tribù è stata quella attaccata agli aerei negli anni ’30 del secolo scorso», racconta Anton Bal, vescovo di Kundiawa, città sulle montagne dell’altipiano. «Settanta anni per passare dallo spavento all’integrazione sono troppo pochi, anche mettendoci molta buona volontà», conferma l’arcivescovo di Mt Hagen, Douglas Young, verbita australiano. «La prima regola che consegniamo ai missionari – continua il presule – è la regola della pazienza: è difficile solo immaginare lo stravolgimento culturale, sociale, umano che hanno vissuto queste popolazioni». La realtà tribale caratterizza soprattutto la regione montuosa dell’altipiano centrale, realtà che indubbiamente condiziona l’annuncio del Vangelo. «La possibilità del perdono era sconosciuta – racconta il vescovo di Goroka, Sarego –. Al torto subito era scontata la vendetta, in una spirale di violenza senza fine. Il Vangelo traccia un limite, ma soprattutto propone una via d’uscita, una liberazione». «Un cammino difficile – continua il presule –, che si scontra ancora con molte fragilità».I missionari italiani che la delegazione di Missio ha potuto incontrato in Papua Nuova Guinea svolgono lavori di frontiera: è il caso del salesiano don Angelo Fazzini, che sull’altipiano, a Kundiawa, lavora nella scuola tecnica «Don Bosco» per 400 ragazzi delle montagne, unica possibilità di trovarsi un lavoro e migliorare la loro vita. E poi il lavoro di padre Ciro Biondi, missionario del Pime, insegnante di teologia all’Università statale di Goroka. Padre Franco Zocca, verbita, è animatore del «Melanesian Istitute», un prestigioso centro studi interreligioso voluto dalle chiese cristiane presenti sull’isola per approfondire le problematiche delle culture presenti in Papua Nuova Guinea. Dopo 4 anni di lavoro nelle sperdute isole Kiriwina, due giorni di barca da Port Moresby, suor Antonella Tovaglieri, Missionaria dell’Immacolata, oggi lavora nella capitale, impegnata nella formazione delle giovani che hanno scelto un cammino vocazionale. La delegazione di Missio ha potuto visitare anche la scuola nella parrocchia Tokarara, alla periferia di Port Moresby, gestita dai missionari del Pime. Tutti i giorni 1200 alunni, dalla prima elementare fino alle superiori, trovano oggi quella possibilità di studiare che fino a due anni fa per loro era soltanto un sogno. Sogno che si è potuto realizzare grazie anche ad un contributo della Chiesa Italiana.
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