sabato 26 aprile 2014
​I segretari Capovilla e Dziwisz raccontano Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II.
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Due Papi, due persone, diverse. Ma entrambi con quel tratto comune che unisce tutti i santi, che come diceva Bernanos «sono coloro che non sono mai usciti dall’infanzia». E davvero, in questo, «possiamo dire che Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sono stati due bimbi.I due "Papi Santi" nel ricordo di chi più di ogni altro fu al loro fianco. Ovvero dei loro segretari particolari, Loris Capovilla e Stanislao Dziwisz, oggi cardinali, che venerdì pomeriggio, il primo in collegamento video da Sotto il Monte, hanno raccontato dal loro punto di vista Wojtyla e Roncalli ai giornalisti di tutto il mondo, radunati nel media center allestito per l’occasione dalla Sala Stampa vaticana. Due testimonianze toccanti, a partire da quella di Dziwisz che ha sintetizzato in tre istantanee – preghiera, sofferenza, rispetto della persona – le caratteristiche di un Pontefice che «ha aperto la Chiesa al mondo e avvicinato il mondo alla Chiesa», e che privilegiava sempre i malati, i poveri e i giovani, con i quali aveva «un rapporto speciale di amicizia», vedendo in loro «il futuro della civiltà e della Chiesa».«Per trentanove anni – ha detto il cardinale Dziwisz, oggi arcivescovo di quella stessa arcidiocesi di Cracovia da cui Wojtyla partì per il Conclave del 1978 – ho avuto il privilegio di vivere accanto a un santo», sottolineando in particolare «la sua assiduità nella preghiera, che era preghiera per la pace, la giustizia, il rispetto delle persone e dei diritti umani, ma anche per persone concrete, a cominciare dai suoi collaboratori. Eravamo tutti nella sua preghiera quotidiana». Dziwisz ha ricordato le preghiere quotidiane del Papa allo Spirito Santo, «come aveva imparato dal padre», mentre «il Rosario per lui era una preghiera cristologica», ovvero «meditazione della vita di Gesù con Maria». E poi la sofferenza, che «ha segnato tutta la sua vita», a partire dalla morte della madre e del fratello, poi del padre al quale era particolarmente legato, il grave incidente durante la guerra, l’attentato in piazza San Pietro – «e sull’ambulanza – ha ricordato Dziwisz – pregava per l’attentatore. Non sapeva chi fosse ma lo aveva già perdonato, assumendo quel dolore per la Chiesa e per il mondo» – e infine la malattia e la vecchiaia: «Mai una volta – ha detto il cardinale – l’ho sentito lamentarsi».«Questo vecchio prete – ha detto Capovilla – vi parla dalla casa di Giovanni XXIII. Sono commosso, confuso e intimidito...». Il cardinale ha ricordato Roncalli come «due occhi e un sorriso» e quella «innocenza e bontà» propri dell’infanzia che lo accompagnarono fino alla fine. Parlando da Ca’ Maitino, la casa di Sotto il Monte continuamente meta di pellegrinaggi, ha raccontato che, quando in quel luogo vengo in visita scolaresche di bambini, «faccio loro spesso una domanda: "Sapete quanti anni aveva quando il Papa è morto?". E poi, visto che non lo sanno, li aiuto: aveva ottantuno anni. Ma io, dico sempre ai piccoli, non ho visto morire un vecchio ma un bambino, con gli occhi vivaci e il sorriso sulle labbra». «Due occhi e un sorriso, innocenza e bontà, che valgono però anche per Papa Giovanni Paolo II», ha quindi aggiunto, ricordando suoi molti incontri con Wojtyla e in particolare quando lo chiamò a Castel Gandolfo «per farsi raccontare tutto di Giovanni XXIII».Concludendo il suo intervento, Capovilla ha infine raccontato gli ultimi momenti di vita di Roncalli, quando gli disse: «Santità, qui siamo in pochi, ma sapesse quanta gente c’è in piazza! E lui mi rispose: "Ma Loris, è naturale! Io li amo e loro mi amano". Ecco, allora prendiamo questo insegnamento, quello di amarci gli uni gli altri, se vogliamo onorare questa canonizzazione».
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