sabato 23 aprile 2011
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Dio indica all’uomo la via della conversione e della salvezza; la morte di Gesù testimonia il suo amore per l’umanità e i martiri di tutti i tempi comunicano la fondatezza della speranza cristiana. Su questi registri padre Raniero Cantalamessa, cappuccino, predicatore della Casa Pontificia, ha svolto la sua meditazione durante la celebrazione della Passione del Signore nel Venerdì Santo, presieduta dal Papa nella Basilica Vaticana. In questo giorno la memoria del sacrificio di Gesù in croce si svolge secondo una liturgia silenziosa, di toccante meditazione. La croce, posta al centro della Basilica, ha orientato lo sguardo dei fedeli e padre Cantalamessa ha concentrato la sua omelia sul significato della morte sulla croce del Figlio di Dio. La croce, ha notato, «è il sì di amore di Dio verso il mondo». Ma come spiegare allora il dolore, il male, le tante sciagure, comprese quelle recenti in Giappone? Secondo padre Cantalamessa è il «tutto» della fede a mostrare la risposta. Gesù è stato uomo fino in fondo, fino alla morte in croce dopo essere stato torturato e deriso. Gesù «ha bevuto il calice amaro della passione. Non può essere dunque avvelenato il dolore umano, non può essere solo negatività, perdita, assurdo, se Dio stesso ha scelto di assaporarlo. In fondo al calice ci deve essere una perla. Il nome della perla lo conosciamo: Risurrezione!». La Risurrezione ci consente di non cedere alla disperazione e al dolore. «Se la corsa per la vita finisse quaggiù, ci sarebbe davvero da disperarsi al pensiero dei milioni e forse miliardi di esseri umani che partono svantaggiati. Ma non è così». Dopo Gesù la fiaccola della testimonianza cristiana è stata portata alta dai martiri. Nell’ultima parte della sua predica padre Cantalamessa ha notato che nel mondo della globalizzazione il dolore e le sciagure che avvengono in una parte del mondo riverberano su tutto il pianeta. E la domanda di Giobbe sul significato del dolore ha bisogno di una risposta. «Dobbiamo però raccogliere anche l’insegnamento che c’è in eventi come questo. Terremoti, uragani e altre sciagure che colpiscono insieme colpevoli e innocenti non sono mai un castigo di Dio. Dire il contrario, significa offendere Dio e gli uomini. Sono, però, un ammonimento: in questo caso, l’ammonimento a non illuderci che basteranno la scienza e la tecnica a salvarci. Se non sapremo imporci dei limiti, possono diventare, proprio esse, lo stiamo vedendo, la minaccia più grave di tutte». I credenti sanno che Dio può salvare tutta l’umanità perché lo ha già fatto con il sacrificio di Cristo.
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