giovedì 19 marzo 2009
Visitando oggi pomeriggio a Yaoundè un centro per minori handicappati fondato dal defunto cardinale canadese Paul Leger e ora gestito dallo Stato il Papa si è soffermato sulla malattia: «Ogni africano e ogni sofferente aiutano Cristo a portare la sua Croce e salgono con Lui al Golgota per risuscitare un giorno con Lui, come Simone di Cirene».
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Una mano tesa, e non solo in senso figurato, ai malati di Aids, di malaria, di tubercolosi. E anche a quelli «che nella loro carne portano i segni delle violenze e delle guerre». «Io non li dimentico», dice il Papa. «E non li dimentica la Chiesa». Poi un appello ai ricercatori e ai medici. «Spetta a voi in primo luogo proteggere la vita umana, essere i difensori della vita dal suo concepimento fino alla sua fine naturale. Perché il rispetto della vita è un diritto e un dovere». C’era molta attesa per l’incontro di Benedetto XVI con il mondo della sofferenza, specie dopo l’eco e le pretestuose polemiche suscitate dalle sue parole sull’inefficacia dei soli preservativi nella lotta all’Aids. Il Pontefice, giunto ieri intorno alle 16,30 nel centro «Cardinale Paul Emile Léger», si è trattenuto oltre un’ora con gli ammalati e non ha aggiunto altro sullo specifico della polemica (>>vai al testo del discorso).La sua risposta, però, chiara e inequivocabile, è stata di tutt’altro tipo. Vicinanza e solidarietà. Amore e attenzione. Nel nome di Gesù Cristo, la cui sofferenza salvifica, ha detto, dà senso anche alle nostre malattie. Egli stesso se ne è fatto interprete attraverso una serie di gesti e di parole molto significativi. All’arrivo nel centro, ad esempio, dopo aver ricevuto un omaggio floreale da parte di una bambina, il Pontefice ha accarezzato alcuni ammalati e si intrattenuto con loro. Tra gli altri, sotto le pensiline della struttura e in un vicino campo di pallacanestro, c’erano alcuni uomini e donne sieropositivi, provenienti da varie zone del Paese. Anche al termine, il Papa ha stretto mani, accarezzato bambini e rivolto parole di conforto agli ammalati, molti dei quali sedevano in carrozzella. Quindi tra i due momenti, dopo i saluti del ministro della sanità camerunense (una signora) e del vescovo delegato per la pastorale sanitaria, ha rivolto ai presenti il suo discorso.«In presenza di sofferenze atroci – ha fatto notare Benedetto XVI non senza un filo di commozione e alternando il francese con l’inglese – noi ci sentiamo sprovveduti e non troviamo le parole giuste. Davanti ad un fratello o una sorella immerso nel mistero della Croce, il silenzio rispettoso e compassionevole, la nostra presenza sostenuta dalla preghiera, un gesto di tenerezza e di conforto, uno sguardo, un sorriso, possono fare più di tanti discorsi». «Io non dimentico – ha aggiunto – coloro che, nelle loro case, negli ospedali, negli ambienti specializzati o nei dispensari, sono portatori di handicap, sia motorio che mentale, né coloro che nella loro carne portano i segni delle violenze e delle guerre. Penso anche a tutti i malati, e specialmente qui, in Africa, a quelli che sono vittime di malattie come l’Aids, la malaria, la tubercolosi». «La Chiesa – ha ricordato – è fortemente impegnata in una lotta efficace contro questi terribili flagelli, e la incoraggio a proseguire con determinazione questa opera urgente».Il centro dove si è svolto l’incontro è intitolato al cardinale canadese Paul Emile Léger, un moderno «cireneo» che lasciò il suo Paese per dedicarsi all’attività missionaria e che lo fondò nel 1972 per assistere portatori di handicap fisico e mentale e reinserirli nella società dopo corsi di formazione professionale (attualmente la struttura è di proprietà dello Stato). «Simone di Cirene era africano – ha notato il Papa –. E io prego perché molti altri cirenei vengano al vostro capezzale», per aiutarvi a portare la croce e per «resuscitare un giorno con il Signore».
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