mercoledì 22 febbraio 2017
Una ricerca Ipos presentata al convegno nazionale di pastorale giovanile a Bologna fotografa la trasformazione in atto: la metà delle diocesi ha una "regia" unica per tutte le realtà del territorio
Oratori, formazione permanente per i giovani
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Una realtà in continua evoluzione: è questo l’oratorio oggi in Italia, “Non esiste uno strumento più vicino alla pastorale e all’annuncio come l’oratorio. Questo più che intorno a uno spazio, come può essere una sala, una tenda, una mega struttura, si articola intorno alla relazione, al contatto con il ragazzo. Farci costruttori di prossimità nella relazione con i giovani, è questo lo specifico dell’oratorio”. Marco Moschini, direttore del corso di perfezionamento, progettazione, gestione e coordinamento dell’Oratorio, presso l’Università di Perugia, legge così i dati rilevati dalla ricerca Ipsos presentata ieri ai 700 delegati, presenti a Bologna per il convegno nazionale di pastorale giovanile “La cura e l’attesa. Il buon educatore e la comunità cristiana”.

Dati che presentano luci e ombre, perché dipende da quale parte d’Italia l’oratorio è attivo. Solo una diocesi su due, per esempio, ha una “regia” unica per tutti gli oratori sul suo territorio. E chi non ce l’ha, il 48 per cento, la vorrebbe creare quanto prima. Dati che fanno riflettere quelli presentati da Nando Pagnoncelli e che sono frutto della ricerca nazionale, condotta tra l’ottobre 2015 e l’aprile 2016, su 8.245 oratori stimati in Italia. Questi luoghi dove si vive un’esperienza integrale di formazione nella vita e nella fede, risultano cruciali per bambini e adolescenti, ma anche per gli educatori che chiedono a gran voce una “maggiore formazione”. La caldeggiano il 74% degli interpellati che vorrebbero dunque poter disporre di strumenti per lavorare meglio nelle loro comunità. Ma cosa sia oggi l’oratorio, in un momento storico in cui i comuni e le regioni hanno dato drastici tagli ai servizi educativi, e dove si sia maggiormente radicato, hanno cercato di metterlo a fuoco i ricercatori attraverso i questionari.

La difficoltà maggiore, avverte Pagnoncelli, è stata parlare lo stesso linguaggio in tutte le realtà italiane. In alcune zone infatti non viene nemmeno utilizzata un’unica definizione di oratorio. E’ anche questa mancanza di un’idea condivisa di un luogo così importante, uno dei motivi per cui hanno risposto al questionario solo la metà delle diocesi interpellate (110 su 221) attraverso i loro incaricati diocesani. Un dato che preoccupa invece e quel 14% di diocesi che viene definito dalla ricerca “poco attivo”: si tratta cioè di realtà che non hanno coordinamento, non fanno proposte di formazione, non organizzano incontri con i responsabili degli oratori. La cifra, secondo i sondaggisti, va sommata all’11% che a malapena organizza un incontro l’anno. Un dato che si scontra con il 44% delle diocesi “attive” concentrate al nord.

E se in ogni oratorio, mediamente, si svolgono 13 attività che vanno dal Grest ai campeggi, dai percorsi spirituali al volontariato, si capisce che “le attività” da sole non bastano senza un progetto condiviso tra varie figure educative. Da valutare di più le figure professionali. Se nel “totale Italia” si utilizzano animatori ed educatori retribuiti nel 37% delle diocesi, questo fenomeno interessa il 66% delle diocesi del nord che hanno sopperito al calo vocazionale affidando la gestione degli oratori ai laici, di cui alcuni retribuiti. E solo il 3% dei casi al sud. Un aspetto da non sottovalutare e a cui si deve dedicare maggiore attenzione in futuro è l’utilizzo di competenze “esterne”, nota Pagnoncelli, come psicologi, sociologi, pedagogisti per far fronte a esigenze sempre più complesse. Tutti ormai sono consapevoli che, come emerge parlando anche con gli incaricati presenti al convegno, per affrontare il mondo giovanile/adolescenziale non basti solo la buona volontà.

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