martedì 18 settembre 2012
​L'intervista al filosofo Mouchir Aoun, filosofo e docente all'Università di Beirut. I cristiani sono tutelati solo se gli Stati garantiscono l'uguaglianza tra i cittadini.
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​«L’importanza della visita papale sta anche nel nuovo contesto in cui si è inserita». Lo afferma Mouchir Aoun, professore di filosofia presso l’Università libanese ed esperto in dialogo interreligioso e pensiero arabo cristiano. «Nel 1997, in occasione della visita di Giovanni Paolo II, il Libano era appena uscito da una lunga guerra e il mondo arabo era ben lungi dal pensare a una rivoluzione simile a quella odierna – spiega –. Anche a livello mondiale ci sono stati mutamenti: ricomparsa del bipolarismo, forte crisi economica, crescita del fondamentalismo religioso. Se nel 1997 i libanesi hanno gridato davanti al Pontefice “Libertà, libertà!”, in questi ultimi giorni hanno gridato “Dialogo, dialogo!”.Quanto tempo ci vorrà per mettere in atto l’esortazione? In Libano stiamo ancora lavorando sull’Esortazione precedente. La Chiesa si è impegnata, è vero, ma il lavoro non è finito. Ad esempio, è stata lanciata una campagna di sensibilizzazione sui problemi sociali, sono stati costruiti alloggi per le giovani coppie per fermare l’emigrazione. Il mufti libanese ha consegnato al Papa una lettera di garanzie... Il «fratello maggiore» si sente sempre in dovere di tutelare, dal punto di vista politico, i fratelli più piccoli. Se la politica viene adottata come unico criterio, allora nessun ruolo può essere previsto per i cristiani del Medio Oriente al di fuori del Libano. Non sono i gesti benevoli a provocare un cambiamento nella mentalità. Fino a quando, nei Paesi arabi, l’uomo è leso nei suoi diritti fondamentali, non dobbiamo aspettarci che il cristiano sia trattato con dignità.I cristiani hanno allora bisogno di garanzie?Le garanzie ai cristiani nascono dalla presenza di uno Stato civile con piena uguaglianza tra i cittadini, da una presenza intellettuale viva dei cristiani e dalla testimonianza cristiana. Senza questi elementi, i cristiani rimarranno inclini a emigrare verso nuove terre che li accolgano senza imporre loro regole restrittive.I mutamenti attuali in Medio Oriente possono cambiare qualcosa?I cristiani avevano partecipato attivamente alla rivoluzione araba del 1916, ma i loro ideali sono stati traditi. Una vera rivoluzione richiede un cambiamento a tre livelli. A livello della ragione araba che è ancora inclusiva e ha paura del diverso. Continua, infatti, a pensare l’altro come parte di sé, ben accolto ma senza consistenza autonoma. «Allargare la ragione» è quindi la prima condizione. Ci vuole anche un cambiamento a livello della sociologia araba, passare da una società autoritaria al rispetto delle libertà individuali. E infine un cambiamento a livello dello Stato: una separazione tra il campo politico e il campo religioso. La strada è ancora lunga...Infatti. Per questo il Papa cerca di lavorare su un cambiamento della mentalità. I cristiani sono minoritari anche in Europa, ma non sono per questo preoccupati. Perché? Perché le società occidentali hanno adottato una laicità che garantisce libertà a tutti. Qui, invece, i cristiani rimangono di fronte a due alternative: o praticare la loro fede al costo di scomparire, oppure usare, come fanno gli altri gruppi, tutti i mezzi possibili per sopravvivere, compresa la violenza. Ma il cristiano, non si comporta così. Quando intuisce nuove ingiustizie, prende e se ne va perché non crede nella violenza. Continueremo a rispondere con l’amore alle ingiustizie, come hanno fatto i cristiani iracheni. Attualizzando l’immagine del chicco di grano che deve morire per produrre molto frutto.
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