mercoledì 1 luglio 2009
Dziwisz all’inaugurazione della scultura che raffigura il Pontefice ricoverato nove volte nel Policlinico
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Risuonano le note del Silenzio, mentre cade il velo che scopre la bianca statua di Giovanni Paolo II sul piazzale del Policlinico «Gemelli». E nel silenzio pare di ria­scoltare il suo famoso «Non abbiate paura». Così si intitola, infatti, la gran­de scultura dell’artista toscano Stefa­no Pierotti, inaugurata ieri pomerig­gio nel nosocomio romano che lo o­spitò per nove volte e complessivi 153 giorni. E questo è anche il messaggio che vuole trasmettere a quanti arri­vano o vanno via. Perché, come fa no­tare l’arcivescovo di Cracovia, cardi­nale Stanislaw Dziwisz nel suo di­scorso, «il Papa sarebbe contento di stare giorno e notte in compagnia di chi è ammalato, di chi soffre nella car­ne e nello spirito, di chi è nell’incer­tezza circa il proprio futuro, di chi spe­ra e di chi prega». La cerimonia si svolge in un clima semplice e solenne al tempo stesso. La banda dei carabinieri all’inizio ese­gue gli inni vaticano e di Mameli, poi i saluti del rettore dell’Università Cat­tolica, Lorenzo Ornaghi e del sinda­co di Roma, Gianni Alemanno. «Que­sta è una statua collocata nel cuore della capitale», dice il primo cittadi­no davanti al parterre degli ospiti, tra i quali il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i vescovi, il vescovo Renato Boccardo, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta e il direttore di Avvenire Dino Boffo. Quindi la scul­tura viene scoperta e il segretario per­sonale di Papa Wojtyla tiene il suo di­scorso. Ma mentre le parole si susse­guono, tutti gli sguardi convergono sulla statua che ritrae il Papa in una posizione ben nota a quanti lo han­no amato. Il capo chino in avanti, un’espressione intensa che manife­sta un profondo raccoglimento in preghiera e il corpo appoggiato alla croce astile che per 26 anni è stato il suo pastorale. Davvero la scultura po­sta sul piazzale antistante l’ingresso principale dà una consistenza anche fisica alla presenza spirituale del Pon­tefice che si respira in questo ospe­dale. Qui, ricorda Dziwisz, «il Papa recitò per 21 volte l’Angelus domenicale. Qui ebbe meta la sua prima uscita dal Vaticano (il 18 ottobre 1978), ma an­che la sua ultima uscita (per l’ultimo ricovero che si svolse dal 24 febbraio al 13 marzo 2005). Per un misterioso disegno della Provvidenza, dunque, l’arcata del suo pontificato porta – al­l’inizio e alla fine – il sigillo di questo Policlinico». Del resto, aggiunge il por­porato, «quella del dolore fu, per lui, come una vocazione nella vocazione, un’intonazione che ha attraversato tutto il suo ministero». E alla fine, «tut­to il pontificato è stato come solcato dal dolore, con momenti particolar­mente tragici come quello dell’atten­tato ». Interpellato poi dai giornalisti sulla beatificazione di Giovanni Pao­lo II, il suo ex segretario personale ri­sponde: «Speriamo che avvenga pre­sto, ma lasciamo a Benedetto XVI la libertà di decidere. Non insistiamo, il processo deve essere fatto bene, sen­za fretta». Il binomio tra il Papa e il «Gemelli» viene rimarcato anche dal rettore del­la Cattolica, Lorenzo Ornaghi. «La sta­tua – sottolinea – è destinata, da oggi in poi, a costituire ben più di un mo­mento di rinnovata commozione e fi­liale devozione a chi per oltre 26 an­ni ci è stato Padre santo e caro». Essa «per sempre resterà indicazione e rap­presentazione visibile della cattedra di dolore, di speranza e di ricono­scenza a Dio – aggiunge Ornaghi –, suggellando l’intrecciarsi della vicen­da umana di Giovanni Paolo II con il Policlinico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore». Come, infatti, dice­va padre Gemelli, ha ricordato anco­ra il rettore, «tutti noi che lavoriamo nell’Università Cattolica non dobbia­mo mai dimenticare di servire fedel­mente il Papa e che servendo il Papa, serviamo Gesù». Parole che sembrano provenire an­che dall’espressione profonda di Gio­vanni Paolo II scolpita nel marmo candido. La statua, collocata in un ot­tagono al centro del piazzale (grazie a un progetto al quale hanno colla­borato anche Francesco Buranelli e Francesco Sisinni) è alta più di tre me­tri, che arrivano a 4 e 60 con il basa­mento a forma di tronco di piramide e la croce di metallo. Essa ricorderà i­dealmente quelle parole a coloro che, come sottolinea il direttore ammini-­strativo della Cattolica, Antonio Cic­chetti, «affluiranno al Gemelli con il loro carico di problemi, di sofferenza e di speranza». A tutti il Papa ripeterà «non abbiate paura».
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