mercoledì 13 febbraio 2019
Parla lo studioso inglese Roderick Strange. «Da convertito ha portato nella Chiesa di Roma una sensibilità tutta inglese, dimostrando come sia possibile essere inglesi e cattolici allo stesso tempo»
Il cardinale John Henry Newman (1801-1890)

Il cardinale John Henry Newman (1801-1890)

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Fare le piccole cose della vita di tutti i giorni bene e coscienziosamente senza puntare a nulla di eccezionale o esagerato. Questa la santità secondo John Henry Newman, il cardinale inglese che presto sarà santo. «Il grande teologo scrisse due paginette su questo argomento in un volume curato da don William Neville, il cappellano che lo assistette mentre moriva», spiega Roderick Strange, grande esperto di Newman, al quale ha dedicato tre libri, A mind alive (“Una mente viva”), Newman and the Gospel of Christ (“Newman e il Vangelo di Cristo”) e John Henry Newman. A portrait in letters (“John Henry Newman. Un ritratto in lettere”).

«Il suo approccio alla santità ha anticipato la piccola via di santa Teresa di Lisieux – dice don Strange –. E questo santo così inglese non puntava certo alla fama e avrebbe sorriso della decisione della Chiesa cattolica di canonizzarlo». «Non ho nulla del santo», scriveva Newman nel 1850, cinque anni dopo essere diventato cattolico, a una donna che suggeriva la possibilità che venisse contato tra i grandi della Chiesa.


Come avrebbe reagito Newman al riconoscimento del miracolo che lo porterà ad essere proclamato santo?
L'idea l’avrebbe confuso e sorpreso e, nello stesso tempo, anche divertito. Certo, lavorava duramente per avvicinarsi alla perfezione indicata dal Signore. Come tutti i veri santi era profondamente consapevole dei suoi limiti e delle sue debolezze e anche delle cose che sbagliava.


Come era Newman?
Riservato, sobrio, modesto. John Henry Newman è il santo inglese per eccellenza. Non a caso è il primo, in quasi cinque secoli, ad essere elevato all’onore degli altari dopo i martiri del sedicesimo e diciassettesimo secolo. Per trovarne un altro, prima di lui, dobbiamo risalire a san Tommaso Moro, John Fisher e alle centinaia di altri che hanno sacrificato la vita per mantenere la fiammella della fede cattolica accesa durante la riforma di Enrico VIII.


Perché un santo inglese dopo così tanto tempo?
Papa Francesco promuove l’idea che ci sono modi diversi di essere cattolici in diversi Paesi e regioni. Non c’è dubbio che il modo di essere cattolico di Newman era strettamente intrecciato con il suo essere inglese.


Perché Newman venne accusato di non essere un vero cattolico una volta entrato a far parte della Chiesa di Roma?
Perché era molto aperto nel suo modo di vivere il cristianesimo rispetto ad altri anglicani diventati cattolici nello stesso periodo. Frederick Faber, per esempio, il fondatore del “Brompton Oratory”, ancora oggi una delle chiese più famose di Londra, amava le devozioni italiane e cercava di importarle in Inghilterra. Nell’Ottocento i cattolici venivano guardati con diffidenza e si parlava della «missione italiana in Inghilterra», ovvero del tentativo dei fedeli di Roma di trasformare gli inglesi in italiani nel loro modo di professare il cristianesimo. Non era questo l’approccio di Newman che cercava sempre di risalire ai padri della Chiesa ovvero a quelle che riteneva le fonti vere del cristianesimo.


Che cosa lo distingueva dagli altri anglicani diventati cattolici a metà 1800?
Federick Faber e anche il cardinale Henry Edward Manning erano degli appassionati difensori del potere temporale del Papa. Al futuro santo Newman gli aspetti politici del cattolicesimo non interessavano. Un esempio fra tanti. Mentre i vescovi inglesi pensavano che i cattolici dovessero frequentare università gestite dalla Chiesa, Newman era convinto che dovessero andare nelle università statali e studiare insieme a chi non credeva. Era molto pratico e sapeva che l’unica possibilità concreta che avevano di assicurarsi un'istruzione universitaria era frequentare gli atenei che già esistevano. Newman diceva anche che le università pubbliche non potevano essere ambienti più corrotti di un esercito o del mondo degli affari, ambienti che i cattolici potevano frequentare. Per queste sue opinioni veniva considerato con sospetto, anche se la Chiesa di Roma, ufficialmente, non aveva ancora preso posizione sulla questione delle università.


È possibile immaginare Newman come un patrono dell’ecumenismo e pensare che la Chiesa cattolica e quella anglicana siano oggi più vicine?
Non c’è dubbio. Spero che la Chiesa d’Inghilterra possa riconoscere che quello che Newman ha portato alla Chiesa cattolica faceva parte della sua identità anglicana. Il grande teologo è sempre stato molto coerente. Era giunto alla conclusione che, per essere un vero seguace di Cristo, bisognasse appartenere alla Chiesa cattolica ma era anche persuaso che una grande parte di quello in cui credeva fosse compatibile con le sue radici anglicane. È significativo che, una volta diventato cattolico, abbia ripubblicato i suoi sermoni anglicani senza modificarli. Penso che molti anglicani vedano Newman come un vero ponte tra le due Chiese. Qualcuno che ha portato nella Chiesa di Roma una sensibilità tutta inglese, dimostrando come sia possibile essere inglesi e cattolici allo stesso tempo.

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